Solaris, di Steven Soderbergh

Il film conserva la sua forza la sua attualità, al di là di ogni confronto che si limiti a mostrarne le differenze con l'altro dispositivo mentale che era il Solaris di Tarkovskij, incentrato allora sulla forza destabilizzante della nostalgia e del passato, più che sulla forza perturbante di un presente caratterizzato dall'ipertrofia delle immagini

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Solaris prima ancora che un film, un pianeta o il titolo del romanzo di Lem è un luogo, uno spazio creatore di immagini e corpi. È questa la grande intuizione che era già presente nel libro di Lem e che sia nel film di Tarkovskij che in quello di Soderbergh agisce come dispositivo produttore di cinema. Ogni confronto possibile tra le due versioni cinematografiche non può prescindere da ciò. In questo senso cade la necessità di un paragone diretto tra Tarkovskij e Soderbergh. Quello che veramente ha importanza nel film è in realtà mostrare le modalità con cui lo spazio – materiale e immateriale insieme – del pianeta e del film si trasformi in un meccanismo creatore di immagini, di cinema e di sguardo.

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È questo infatti il motivo che ha spinto James Cameron (produttore del film) a portare avanti il progetto e ad affidarlo ad un regista-camaleonte come Soderbergh. Se esiste nel cinema hollywoodiano una tendenza sempre più evidente alla ripetizione sterile di temi, luoghi e forme filmiche – segno evidente di una crisi dello sguardo – Solaris di Soderbergh-Cameron, pur nell’apparente riproposizione del già visto, si configura come una nuova proposta di visione, una ripresa più che una ripetizione: la ripresa del potere fascinatore ed inquietante delle immagini, della mente e della memoria.

L’inquietudine della visione attraversa tutto il film, proiettando il dispositivo cinematografico del pianeta Solaris direttamente nella contemporaneità. La struttura dell’astronave Prometheus, i suoi corridoi-cunicoli, somigliano ad una versione tecnologica della mente umana, ad un dispiegamento spaziale di una struttura neuronale, secondo una costante che già contraddistingueva il cinema di Kubrick. Il mondo degli uomini che vanno alla scoperta di Solaris è un mondo turbato dalle immagini, dal loro potere. Solaris diventa allora il pianeta-dispositivo che rende concreti i fantasmi, che pone Gibarian, Snow e Kelvin di fronte a corpi reali, di fronte allo sguardo di Rheya, reale e irreale al tempo stesso. Il pianeta irrompe nello spazio mentale e sconvolge il già precario equilibrio che distingue il reale dall’irreale, il mentale dal materiale.

Su questo permanere muto dello sguardo il film gioca la sua costante stilistica, fermandosi a lungo sugli sguardi dei protagonisti, spesso persi nell’impossibilità di determinare la valenza di ciò che l’occhio vede e valuta. Per questo, la struttura visiva del film insiste non tanto sulla componente tecnologica (tipico elemento di distinzione di un prodotto di fantascienza), quanto sullo spaesamento dei corpi. I costumi della Canonero si caratterizzano più per la loro asetticità che per il loro aspetto futuribile.

La ripresa (di Lem, ma anche di Tarkovskij) sta dunque qui: nella consapevolezza che la forza perturbante di Solaris torna ad essere attuale in una visione del presente più che del futuro, sempre più oscurata dall’inquietudine del vedere, della memoria e dell’oblio. Certo, Soderbergh struttura il film in modo tale da mantenere un orientamento possibile per lo spettatore, distinguendo – attraverso la differente resa fotografica – gli elementi del presente da quelli del passato, così come lo spaesamento di Clooney risulta comunque meno destabilizzante di quello del Chris Kelvin di Tarkovskij, straordinaria figura di corpo inattivo, consegnato allo squilibrio della visione. Ma il film conserva comunque la sua forza, la sua attualità, al di là di ogni confronto che si limiti a mostrarne le differenze con l’altro dispositivo mentale che era il Solaris di Tarkovskij, incentrato allora sulla forza destabilizzante della nostalgia e del passato, più che sulla forza perturbante di un presente caratterizzato dall’ipertrofia delle immagini.

Regia: Steven Soderbergh
Sceneggiatura: S. Soderbergh dal romanzo omonimo di Stanislaw Lem
Fotografia: S. Soderbergh (accreditato come Peter Andrews)
Montaggio: Mary Ann Bernard, S. Soderbergh
Musica: Cliff Martinez
Scenografia: Kristen Toscano Messina
Costumi: Milena Canonero
Interpreti: George Clooney (Chris Kelvin), Natascha McElhone (Rheya Kelvin), Viola Davis (Helen Gordon), Jeremy Davies (Snow), Ulrich Tuckor (Dott. Gibarian), Shane Skelton (Figlio di Gibarian), Donna Kimball (Signora Gibarian), Michael Ensign (amico numero uno), Elpidia Carrillo (amica numero 2)
Produzione: Charles V. Bender, James Cameron, Gregory Jacobs, Jon Landau, Michael Polaire, Rae Sanchini per Lightstorm Production

Durata: 97′
Origine: Usa 2002

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