SOUNDTRACKS – Lo chiamavano Jeeg Robot, di Gabriele Mainetti

La colonna sonora di Lo Chiamavano Jeeg Robot di Gabriele Mainetti, tra hit pop italiane anni ’80 e una partitura originale che mostra, musicalmente, l’evoluzione dei suoi personaggi

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Nessuna armatura dalla tecnologia avveniristica, scudi indistruttibili o costumi sofisticati. Il nostro di supereroe vive in un appartamento fatiscente, tra piatti sporchi di settimane e custodie di dvd di porno amatoriali sparse per casa, in uno di quei palazzoni della periferia romana sospesi nel vuoto urbano. Ha un nome anonimo, Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria), e per sbarcare il lunario si rende protagonista di furtarelli dal bottino misero come la sua esistenza. Non è amico di nessuno e l’unica dolcezza che si concede dalla vita consiste in una scorta di budini alla vaniglia sempre pronti all’uso. I suoi poteri non derivano da sieri chimici o discendenze divine ma da un bagno, forzato, nel Tevere. Un tuffo fatto per sfuggire ad un inseguimento della polizia dal quale si rifugia nelle acque capitoline che custodiscono barili colmi di una sostanza radioattiva capace di dotarlo di una forza fisica sovraumana. Una volta presa confidenza con quei poteri del tutto inediti, Enzo, fa l’unica cosa che conosce: va a rubare. Sarà l’incontro con Alessia (Ilenia Pasrorelli), fragile giovane donna/bambina che per proteggersi da una vita di soprusi si è rifugiata in un mondo costellato di richiami all’anime di Go Nagai – tanto da credere che Enzo sia Hiroshi Shiba -, la lenta molla che gli permetterà di prendere coscienza delle responsabilità che derivano da quei poteri. Presentato nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma, Lo Chiamavano Jeeg Robot, debutto al lungometraggio di Gabriele Mainetti, prende dunque i codici classici del cinecomic per adattarli, grazie alla sceneggiatura di Nicola Guaglianone e Menotti, al contesto nel quale la storia si sviluppa.

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Luca Marinelli

Prodotto dalla Goon Films dello stesso Mainetti insieme a Rai Cinema, il film, dopo il tentativo non del tutto riuscito di Gabriele Salvatores con Il Ragazzo Invisibile, segna un punto di partenza importante per il nostro cinema verso, si spera, progetti più audaci, capaci di andare oltre le colonne battute e ribattute della narrazione cinematografica nostrana, per tentare strade inedite. E, come in ogni film sui supereroi che si rispetti, il protagonista di turno ha una nemesi alla sua altezza. In questo caso si tratta de Lo Zingaro (Luca Marinelli), al secolo Fabio Cannizzaro, meteora televisiva dei palinsesti pomeridiani di Buona Domenica, ora piccolo boss di quartiere con megalomani aspirazioni criminali e un bisogno patologico di apparire. Proprio il personaggio del villain ossessionato dai germi e dai frequenti, quanto sanguinosi, scatti d’ira è protagonista di parentesi musicale – retaggio del passato televisivo – ispirate alla sua passione per le hit anni ’80 delle icone pop femminili italiane. Un trasporto del tutto in linea con il suo studiatissimo look, che strizza l’occhio alle rock star della scena glam rock, rappresentato da stivaletti con tacco, occhi sfumati dal nero di un’ombretto e camice dal tessuto appariscente.

 

Lo chiamavano Jeeg Robot

Avvolto dalle luci fluorescenti di un night di borgata, Lo Zingaro, si abbandona alla reinterpretazione di Un’emozione da poco di Anna Oxa, il brano del 1978 con il quale l’artista si aggiudicò il secondo posto al Festival di Sanremo, riprendendo i movimenti dell’interprete – con tanto di guanto di pelle nero a citarne la mise sanremese – in quella che è la sequenza che meglio racchiude l’essenza del personaggio, diviso tra l’egocentrico bisogno di visibilità e quel lato più puramente naïf sfumato di teatrale dolcezza. Talmente viscerale il suo legame con l’immaginario femminile musicale nostrano da citarne le stesse protagoniste nei suoi sproloqui dettati dalle manie di grandezza che lo proiettano in un futuro glorioso come boss di spicco della criminalità romana, «stanco di essere crocifisso al muro di questa carrettera, di queta vita balera» come cantava Loredana Bertè in Non sono una signora nel 1982. Ma è l’ultima parentesi musicale che lo vede protagonista a sovrapporre la passione del villain di borgata per le hit pop degli anni ’80 alla linea narrativa principale, quella legata allo scontro tra Bene e Male rappresentati, rispettivamente, dal supereroe per caso, Ceccotti/Jeeg Robot e, per l’appunto, dallo Zingaro. Con gli auricolari alle orecchie si lascia andare, sulle note di Ti stringerò di Nada, in una danza della morte, leggera, armoniosa – nonostante la potenza fisica acquisita e la violenza di quegli stessi gesti – trasportato dalla canzone in una coreografia fatale quanto elettrizzante.

 

Claudio Santamaria e Ilenia Pastorelli

Se Lo Zingaro, dunque, è l’elemento narrativo al quale Mainetti si affida per la musica diegetica del film, il regista/produttore veste, insieme a Michele Braga (Più buio di mezzanotte, Good As You) – con il quale aveva già collaborato nel corto Basette – il ruolo di compositore della partitura originale del film. Ventisette brani (+ uno, la reinterpretazione malinconica della sigla del cartone di Go Nagai eseguita da Claudio Santamaria) nei quali i due costruiscono una linea melodica che attraversa l’intero lavoro, basato sull’alternanza e la convivenza di elementi elettronici e pianoforte, e che viene declinata seguendone l’evoluzione narrativa. Brani come Bevi!, Acchiappa lo Zingaro o Casa, budini, pornazzi hanno, infatti, un ritmo concitato (in alcuni passaggi quest’ultimo ricorda, attraverso le percussioni, il ritmo cardiaco) contrapposto alla dolcezza del motivo del piano di brani come Andiamo a cercare papà, Enzo e Alessia, Ti ci accompagnerò io o Tu che puoi diventare Jeeg che rappresentano il lato delicato e la crescita del sentimento tra il supereroe di Tor Bella Monaca e la ragazza che lo crede Hiroshi Shiba, personaggio fondamentale per lo sviluppo del personaggio. Un’evoluzione sottolineata in Supereroe, l’ultimo brano in ordine temporale a punteggiare musicalmente il film, nel quale si avverte tutta l’apertura, la velocità, la potenza e l’epicità del brano, quando Enzo Ciccotti si trasforma, testa, cuore e maschera all’uncinetto, nell’eroe che Alessia aveva sempre visto in lui.

 

 

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