SPECIALE "ALL IS LOST" – Gravity/All is lost. Dissolvenze incrociate

Robert Redford in All is Lost
Pur contraddistinti da destini distributivi e commerciali diversi, Gravity e All is Lost sono entrambi film “ritoccati”, che finiscono con l’essere un unico esempio di quanto possa essere costosa ed elaborata, oggi, l’autorialità a Hollywood. Due film diversi ma gemelli, programmatici, concepiti nell'ambizione di un pensiero umanista teso a raccontare l'(im)possibile resistenza dell'uomo

 

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Chissà cosa avrebbe pensato Samuel Beckett di questo “imprevisto” capolavoro firmato da J.C Chandor. Certo è che in questa via crucis in mare aperto alla deriva e in balia degli elementi della natura senza dialoghi, né motivazioni psicologiche o drammaturgiche, sembra esserci molto di quell' assurdità metaforica essenziale e allo stesso tempo aperta a ogni tipo di interpretazione presente nelle opere teatrali beckettiane, da Aspettando Godot a L'ultimo nastro di Krapp. All is Lost è un piccolo grande teatro dell’assurdo.
Chandor ha compiuto un miracolo. Ha fatto un film filosofico sull'uomo contemporaneo, sull'America di oggi, sul cinema americano di oggi, sul rapporto uomo-natura… e allo stesso tempo ha fatto semplicemente un film action all'americana, fondato sulla forza percettiva e sensoriale delle immagini e su una figura eroica memorabile.

In dissolvenza incrociata All is Lost è la risposta indipendente (ma neanche troppo come vedremo) al Gravity di Alfonso Cuaròn
. Due film gemelli che appoggiandosi al cinema di genere diluiscono il proprio discorso in una visione autoriale complessa e ambiziosissima. Due film programmatici e soprattutto "di pensiero", che inevitabilmente finiscono però con l’essere soprattutto costellati di azioni. Due film umanisti, formalmente impeccabili anche se con alcune differenze sostanziali: nella sua ossessione pirotecnica per la ripresa in diretta nell'ignoto spazio profondo gli impeccabili pianisequenza di Cuaròn/Lubecki in Gravity finiscono, per esempio, con l'essere più chiusi e asfissianti del frammentato pedinamento in macchina a spalla che Chandor esegue sul corpo morale di Redford. E' altrettanto vero del resto come, nel suo rigore sottrattivo, All is Lost abbia un senso della misura che la tendenza all'enfasi tipica del cinema (latino) di Cuaròn non si preoccupa di contemplare.

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Altrove sulla questione del “genere” le differenze sono veramente marginali. All is Lost non è un film d'avventura così come Gravity – che ci crediate o meno – non è per niente un film di fantascienza. Entrambi appartengono soprattutto al sottogenere dei disaster movie, come Airport, L'inferno di cristallo, L'avventura del Poseidon (eh sì, di nuovo gli anni Settanta di Redford!), e come Twister di Jan De Bont, cineasta modernissimo, forse l'inconsapevole e sottostimato padre di queste due opere sulla (im)possibile resistenza dell’uomo dentro/fuori il mondo.

All is Lost e Gravity raccontano due individui soli, ai margini dell’esistenza sociale, che proprio per la loro natura di eremiti proiettano perfettamente il destino simbolico di un’umanità abbandonata a sopravvivere ai suoi “incidenti” illogici e imprevedibili. I disastri sono frutto di una catastrofe ineluttabile, già avvenuta. Questo è chiarissimo in Gravity, dove la stazione spaziale viene all’inizio danneggiata dai resti di un satellite entrato in rotta di collisione con dei meteoriti; ma in modo più sfumato anche nel film di Chandor, che infatti inizia con la barca di Redford danneggiata da uno scontro con un container galleggiante sul mare. Detrito postindustriale che ostacola il viaggio, segnandone subito il percorso allucinatorio, metafisico, funerario.

Due film dalle prospettive impossibili che recuperano suoni, sospiri, rumori (o la loro completa assenza, come nello spazio di Gravity) quasi fossero contrappunti musicali a una rappresentazione del corpo contemplativa, centrale: leggera e astratta in Cuaròn, maggiormente politica e fisica in Chandor-Redford (e a tutti gli effetti All is Lost è davvero un film non meno tridimensionale di Gravity).  Se Cuaròn ha bisogno di un set virtuale tutto in blue screen, impeccabilmente ricreato in post produzione, logicamente esterno al mondo (lo spazio dove è costretta a fluttuare l’astronauta Ryan Stone si affaccia sul globo terrestre), Chandor in All is Lost spalma il suo marinaio dal nome ignoto nella precarietà liquida di una barca in decomposizione che si frantuma e rovescia con una verosimiglianza anch’essa invisibilmente ricreata in digitale. Gli effetti visivi proliferano.

Qui l’ambiguità si fa interessante e spaventosa a seconda dei punti di vista
. Ecco infatti che, pur essendo contraddistinti da destini distributivi e commerciali diversi, Gravity e All is Lost sono film “ritoccati”, che finiscono con l’essere un unico grande esempio di quanto possa essere costosa ed elaborata, oggi, l’autorialità a Hollywood. Sono opere tecnicamente avanzate che nascondono i loro trucchi per non offuscare del tutto il proprio discorso, anzi in realtà potenziandolo senza però correre il rischio di farsi identificare solamente come blockbuster. Non fanno propriamente economia, ma– meraviglioso paradosso –  intendono promuovere allo spettatore un nuovo concetto di economia spirituale.

 

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