SPECIALE "BUONGIORNO NOTTE" – La notte del sogno

Bellocchio ha ucciso Moro durante la lavorazione dei “Pugni in tasca”, ne ha sancito la sparizione, lo ha seppellito nei sogni incrociati di Lou Castel, e solo ora se ne è riappropriato, filmandolo come uomo, fisicità dolente che sputa in faccia ai figli ingrati le proprie colpe.

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Nell'ultima opera di Marco Bellocchio vi è una forma di interrogazione critica che ha evidentemente fatto saltare lo schema a chi continua a vedere nel cinema il rispecchiamento di una certa forma di reale. Andiamo allora al punto: Buongiorno notte non è un'opera di rifondazione, un atto maieutico, un portare insomma alla luce un qualcosa che si agita febbrilmente nell'oscurità. Semmai il contrario, visto che si fa il giro inverso (la voce fuoricampo iniziale che illustra ai due giovani sposi/terroristi l'appartamento e che per qualche secondo, prima di essere rischiarata dalla luce, brancola nel buio), con un nero che torna prepotentemente in dissolvenza, proprio nel finale…Ma il punto non è questo. Il fatto è che di notte si pensa meglio, si sogna meglio, gli occhi si chiudono con più facilità, e allora… buongiorno notte, perchè tutto diventa possibile, anche ripensare il pensiero fatto alla luce del giorno, circondandolo di parentesi sempre più numerose. Ecco, Bellocchio (forse in misura anche maggiore rispetto all'Ora di religione) ha sognato, riempendo la sua forma di incoscienza di appunti imprecisi, di segni però quasi tangibili (la presenza ossessiva del televisore che irradia coordinate temporali sfalsate perché abitate dall'immagine di oggi), riuscendo allora a bypassare completamente ogni forma di contestualizzazione storica. Moro, la DC, il terrorismo sono dei semplici segni onirici, forme fantasmatiche che riaccendono la percezione, trascinandola però nell'indistinzione del tempo sognato. Dove appunto regna la confusione. Qual è il tempo reale della vicenda, quello in cui la protagonista lavora al ministero, o quello in cui è complice del rapimento? Quello in cui tiene il figlio alla vicina, o ancora quello in cui prepara il pranzo all'onorevole rapito? C'è qualcosa in tutto ciò destinato a non trovare mai davvero una coincidenza, appunto perchè affidato ai rintocchi sfuggevoli di un pendolo fermatosi da chissà quanto tempo, un misuratore di intensità sempre differita. Bellocchio ha ucciso Moro durante la lavorazione dei Pugni in tasca, ne ha sancito la sparizione, lo ha seppellito nei sogni incrociati di Lou Castel, sommergendolo nel bailamme convulso del gruppo di famiglia all'interno della rivoluzione. Solo ora se ne è riappropriato, ma non come simbolo, uomo politico/uomo del compromesso, ma appunto come uomo, fisicità dolente che sputa in faccia ai figli ingrati le proprie colpe. Non esiste il terrorismo, ma il sogno di una generazione che pensava di essersi sbarazzata una volta per tutte della voce della simil-ragione, per poi invece vedersela tornare sotto forma di spoglie inquiete destinate ad abitare in una stanza chiusa, piccola, arredata del minimo necessario. Poi la luce. Quella di una comune strada di Roma all'alba, quella di un incrocio deserto, quella di un cappotto nero che protegge a stento dal freddo invernale. La rivoluzione si può fare con un sorriso (quello di Picciafuoco ne L'ora di religione), ma anche uscendo in strada, lasciando i propri figli ancora addormentati nei propri letti. Liberi di sognare il mondo.

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Ancora una volta.

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