SPECIALE DARIO ARGENTO – Zone d'ombra: "Zombi", "Due occhi diabolici" e "MDC-Maschera di cera"

Le collaborazioni di Dario Argento con l’amico statunitense George A. Romero: Zombi, il capolavoro indiscusso, e Due occhi diabolici, elogio delle rispettive specificità. E ancora, Lucio Fulci: il rapporto contrastato, la riappacificazione e la pre-produzione di Maschera di cera, sino all’improvvisa scomparsa del “Terrorista dei generi”. Leggi tutti gli articoli dello speciale

--------------------------------------------------------------
CORSO COMUNICAZIONE DIGITALE PER IL CINEMA DALL'11 APRILE

--------------------------------------------------------------

zombiZombi (Dawn of the dead)

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Regia: George A. Romero

Interpreti: David Emge, Ken Foree, Gaylen Ross

Durata: 118’ (versione italiana); 128’ (theatrical cut); 137’ (extended cut)

Origine: Italia/USA, 1978

Distribuzione home video: Alan Young Pictures

 

Due occhi diabolici (Two evil eyes)

Regia: George A. Romero, Dario Argento

Interpreti: Adrienne Barbeau, Bingo O’Malley, Harvey Keitel, Madeleine Potter

Durata: 120’

Origine: USA, 1990

Distribuzione home video: CVC

 

 

MDC – Maschera di cera

Regia: Sergio Stivaletti

Interpreti: Robert Hossein, Romina Mondello, Riccardo Serventi Longhi

Durata: 114’

Origine: Italia, 1997

Distribuzione home video: Millennium Storm

 

George A. Romero e Lucio Fulci . Due registi diversissimi tra loro per stile e intenti, che tuttavia hanno trovato in Dario Argento il loro ideale trait d’union: il primo dapprima grazie a Zombi, il secondo grazie a MDC – Maschera di cera, film che doveva segnare la loro storica riappacificazione dopo anni di traversie (ne parleremo più avanti) e che invece oggi si presenta tristemente come una pietra tombale, a causa dell’improvvisa morte di Fulci avvenuta a Roma il 13 marzo 1996. Ma andiamo con ordine.

Dario Argento realizza con Zombi la sua prima trasferta americana: è il 1978, e nell’intervallo tra Suspiria e Inferno produce il secondo capitolo della saga romeriana sui morti viventi; dopo lo straordinario successo del suo film d’esordio, la carriera di Romero stava incontrando una battuta d‘arresto, in conseguenza a una serie di film poco fortunati sia in termini di botteghino che di riscontro critico. I due registi decisero così di unire le forze, mettendo in piedi una co-produzione italo americana che ottenne come risultato un incasso complessivo di 40 milioni di dollari dell’epoca, rilanciando così la carriera del regista di Pittsburgh.

Zombi, banale a dirsi, è una pietra miliare della storia del cinema, horror e non. Lo sguardo di Romero è di quelli apocalittici e spietati, senza luce: guarda alla contemporaneità filtrandola attraverso quelli che sono i nostri aspetti più rimossi, espandendoli e mettendoli a nudo dinanzi ai nostri occhi. Sizombi può dire, senza timore di esagerare, che Zombi sia una delle migliori rappresentazioni mai realizzate sulla fine del nostro mondo: mette in scena senza mezzi termini il crollo degli ideali e, soprattutto, delle istituzioni, lasciando gli uomini a sbranarsi – letteralmente – tra di loro, come in un incubo senza fine (non a caso Il giorno degli zombi comincerà con un risveglio, per poi terminare su un’utopistica isola deserta). Non c’è più nessun appiglio, nessuna speranza di salvezza, per nessuno. Adulti o bambini, ricchi o poveri, non fa più alcuna differenza: di fronte all’apocalisse siamo tutti uguali, tutti indelebilmente macchiati di sangue.

Le peculiarità della storia produttiva del film sono ormai note ai più: la presenza di Argento in veste di coproduttore gli permise da contratto di curare la distribuzione del film in Europa e in Giappone apportando sostanziose modifiche in fase di montaggio; sapevo che avrebbe cambiato la versione di Zombi per la distribuzione nei paesi non anglofoni, quelli per i quali Dario deteneva i diritti di sfruttamento. Ho accettato ugualmente le sue condizioni perché conoscevo il suo lavoro e mi fidavo di lui e di ciò che avrebbe fatto. Non ci sono mai stati problemi a riguardo [La morale dell’orrore – intervista a George A. Romero, a cura di Mauro Gervasini e Manlio Gomarasca, Nocturno Book I vivi e i morti]. Le principali differenze tra la versione europea e il cut romeriano consistono nelle musiche (con i Goblin che sostituiscono la partitura originaria) e nell’asportazione di alcune sequenze (tra cui quella dei poliziotti in fuga, o ancora quella della suora-zombi). In definitiva, la versione curata da Argento appare più moderna e ritmata, mentre quella di Romero è più interessata a delineare i contorni di un universo plumbeo e in lento disfacimento; quale delle due sgeorge&darioia la migliore è una disputa che da anni interessa fan e critica: noi riteniamo però che quando una visione si dimostra talmente potente e deflagrante, tale rimane a prescindere. Qualunque sia la versione analizzata, rimane un’arte che non viene affatto scalfita da alcun tipo di intervento (si pensi anche a un altro capolavoro come Pat Garrett & Billy the kid, del quale esistono almeno tre montaggi differenti: come si può sceglierne il migliore?).

Diverso invece è il discorso relativo a Martin, sempre del 1978: unicamente per la versione italiana Dario Argento impose nuove musiche (ancora i Goblin) e montò in maniera radicalmente diversa il film, rinominandolo Wampyr e stravolgendone – questa volta sì – il significato.

Più di dieci anni dopo i due registi torneranno a lavorare insieme con Due occhi diabolici, da Edgar Allan Poe, progetto per il quale era inizialmente prevista la partecipazione anche di Stephen King e John Carpenter. Due episodi (Fatti nella vita del signor Valdemar per Romero, Il gatto nero per Argento) che sottolineano e cementificano le rispettive specificità autoriali: tanto è freddo, lucido e, oseremmo dire, “chirurgico” il primo, quanto è carnale, viscerale e liberissimo il secondo. Per Romero è l’occasione per tornare a confrontarsi con tematiche a lui care, come in questo caso l’avidità e la spietatezza dell’essere umano: l’ultima inquadratura, con il dettaglio dei dollari sporchi di sangue, è in tal sdue occhi diabolicienso emblematica e, pur nella sua immediatezza, si annovera le vette del regista americano. Invece a Dario Argento di fare politica non interessa minimamente: usa la traccia narrativa fornita da Poe come base sulla quale fondare la sua libertà stilistica (non dimentichiamo che è il suo ritorno dietro la macchina da presa a tre anni da Opera), riempiendo così il suo segmento di soggettive impossibili (il pendolo, il gatto che salta da un mobile al pavimento) e continuando il discorso in(in)terrotto sulla perversione e la malvagità dello sguardo – non a caso il protagonista è un fotografo, specializzato in casi di cronaca nera.

Con Due occhi diabolici si conclude il rapporto professionale tra Dario Argento e George A. Romero, rapporto sempre basato sulla fiducia e la reciproca stima: ma siccome alla storia piace ripetersi, Asia Argento prenderà poi parte al grande ritorno di Romero nel 2005 con La terra dei morti viventi.

Siamo così arrivati a Lucio Fulci.

Una storia non facile la loro: due personalità così forti e carismatiche nello stesso settore non potevano ovviamente che entrare in contrasto tra loro, per motivazioni che spaziano dal personale (sulle quali naturalmente non lucio fulcici esprimiamo) al professionale (la reazione rabbiosa di Argento di fronte al sequel apocrifo Zombi 2).

Dopo anni di dissidi, però, arriva finalmente la notizia che molti fan si portavano nel cuore da tempo: …….Dario Argento presenta……un film di Lucio Fulci……

A metà degli anni novanta l’horror stava lentamente morendo, sia in Italia che altrove: l’unico filone di successo era la rivisitazione di classici già portati sullo schermo in passato da produzioni come la Hammer, e i nomi coinvolti erano altisonanti. Francis Ford Coppola con Dracula, Kenneth Branagh con Frankenstein; a Fulci venne in mente di riprendere La Mummia, ma dopo aver tentato inutilmente di trovare una chiave di lettura valida (né a Dario né a Lucio veniva in mente un’idea su come realizzare questo remake, […] nemmeno gli americani si può dire ci siano riusciti, dal momento che alla fine hanno deciso di buttarla sul fantastico, alla Indiana Jones – intervista allo sceneggiatore Daniele Stroppa, Nocturno Book Solamente giallo ), la scelta ricadde su La maschera di cera.

Come tristemente noto, Lucio Fulci morì alla vigilia delle riprese e il film si trasformò nell’esordio alla regia del miglior tecnico italiano di effetti speciali: Sergio Stivaletti. Quel “Dedicato a Lucio Fulci” in apertura racchiude il significato stesso del film, che al di là dei meriti o demeriti artistici rappresenta la pietra tombale di un cinema che fu. Lo stesso Dario Argento, mettendosi poi al lavoro su Il fantasma dell’opera, preferirà percorrere altre strade, lasciandosi alle spalle le precedenti versioni cinematografiche del romanzo di Gaston Leroux.

Quello che purtroppo manca in MDC – Maschera di cera è proprio un polso registico, in grado di valorizzare una sceneggiatura dignitosa che, ai tempi d’oro del cinema di genere italiano, si sarebbe sicuramente trasformata in un prodotto ben migliore del film di Stivaletti, il quale non riesce a infondere ritmo e vitalità a immagini che sembrano pronte per uno schermo televisivo: l’unico guizzo di genialità appare nel finale à la Terminator, finale che pare non fosse previsto nello script originario bensì frutto della fantasia del regista.

 

 

 

 

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Un commento