SPECIALE IL NOSTRO NATALE – La spada nella roccia, di Wolfgang Reitherman

Il 25 dicembre 1963 usciva La spada nella roccia, ultimo titolo supervisionato completamente da Walt Disney prima della scomparsa. Ritornano i nostri racconti in prima persona sui film del Natale

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Ho sempre trovato il Natale una festa molto strana, di quelle anche un po’ “infide” che, tra un misto di ricordi piacevoli e malinconia d’anni infinitamente lontani, non sai mai fino a che punto si possa dire di amarla od odiarla, questa festa, alla fin fine. Però è pur sempre il Natale e così, di anno in anno, ci sforziamo di ritrovare in qualche posto un po’ inconscio di noi stessi quella gioia che ha caratterizzato i nostri Natali passati, e qui mi riferisco agli spensierati momenti d’infanzia, quando la famiglia era ancora integra e si partiva per riunirsi tutti in casa dei nonni già anziani, a strafogarsi delle prelibatezze locali e ad aspettare con un fremito indicibile che si scartassero i pacchetti la notte della Vigilia. Ora, come sempre accade, come quel morso di madeleine proustiano che scatenava un tripudio di rimembranze e sensazioni che sembravano sepolte da tempo, anche per me è facile riagganciare quel periodo così beato; ma giustamente, la mia madeleine sta dentro uno schermo, e mi aspetta puntuale ogni anno, quando quei meravigliosi Classici Disney tornano a fare la loro comparsa in televisione, spalancando la porta dei ricordi natalizi per eccellenza.
Il mio film del cuore di Natale è, senza alcun dubbio, La spada nella roccia, uscito giustappunto il 25 dicembre del lontano 1963, per la Walt Disney Productions e con regia di uno dei celeberrimi “Nine Old Men”, il tedesco Wolfgang Reitherman, che aveva esordito nel ruolo di cineasta con La bella addormentata nel bosco (1959). Si trattava di anni molto particolari per la grande casa di produzione, che di lì a poco avrebbe perso la sua figura-guida, appunto il fondatore Walt Disney, che sarebbe scomparso tre anni dopo l’uscita del film, l’ultimo prodotto sotto la sua completa supervisione.

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Da bambina, ciò che amavo del film era quell’atmosfera speciale, a tratti di mistero, conferita alla storia del piccolo Semola – appunto, il giovane Artù del futuro ciclo bretone – dalla magia di Mago Merlino, personaggio che amavo in modo spropositato, soprattutto quando si metteva a farfugliare contro il permaloso gufo Anacleto, come fossero una coppia di vecchi bacucchi in pensione. Quella magia, così scarmigliata e divertente, ha lasciato momenti memorabili che hanno segnato prepotentemente un immaginario comune a tutti i ragazzini che, negli anni ’80 e ’90, sono stati lì a “divorarsi” il film durante le vacanze, insieme a fratelli e cugini riuniti sul lettone della nonna.
C’era, allora, la zuccheriera imbranata che metteva sempre troppo zucchero nella tazza di Merlino; il trasloco verso il castello di Sir Ettore, quando Merlino infila letteralmente mezza casa dentro la borsa, da fare invidia a quella che sarà poi di Mary Poppins che, per l’appunto, sarebbe nata di lì a poco; la “catena di montaggio” ideata per risolvere il caos in cucina, di modo che piatti e pentole inizino a lavarsi da soli senza bisogno di Semola; e infine, gli step altamente educativi ai quali Merlino sottopone il ragazzo per insegnargli a vivere nel mondo usando il cervello e non solo i muscoli, tra i quali spicca il viaggio liberatorio sotto le acque in versione pesci (già predecessori di Nemo?), e il tenerissimo corteggiamento di cui entrambi i nostri eroi saranno “vittime” durante la vita da scoiattoli (sì, di certo molte di noi si saranno riconosciute a posteriori nella scoiattolina sedotta e abbandonata). Ogni tassello di questo film resta scolpito tanto che, persino il cattivo di turno, la famigerata Maga Magò, entra di diritto nel bagaglio dei ricordi, lei che, con tutte quelle metamorfosi animalesche ingiuste durante il “duello di magia” contro Merlino, ci faceva davvero arrabbiare tutti, ma per fortuna perdeva ogni volta, perché l’intelligenza può vincere sulla forza, soprattutto quando quest’ultima viene usata slealmente.

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Ma c’è di più, molto di più: negli anni, rivedendo il film e conoscendone il contesto storico di collocazione, è stato sempre più evidente quanto La spada nella roccia fosse un film intelligente, pieno zeppo di (auto)citazioni disneyane, ironico nei punti giusti e con le battute giuste, con una struttura narrativa impeccabile e un’animazione semplice – quasi “povera” – che, nonostante questo, ha saputo imprimere carattere ai personaggi e li ha resi davvero senza tempo.
Oggi ascolto le parole ironiche di Merlino e credo di ritrovarci Walt Disney in persona che afferma: «Io ho il potere di vedere nel futuro!», perché così è stato veramente e quel suo studio di animazione nato negli anni ’20 oggi si è mangiato il mondo intero – recenti fatti lo confermano – ed è un colosso nel settore dell’animazione e non soltanto in quello. Nelle innumerevoli metamorfosi consentite dalla magia rivedo le fondamenta dell’animazione stessa – e rimembro ancora le parole di un tal Ejzenštejn sulla potenza e perfezione di questo meccanismo di forme mutevoli –, e i trucchi “a fin di bene” di Merlino sono appunto le “finzioni” di proprietà del cinema, che funzionano forse proprio quando non funzionano e ci si parano davanti senza scrupolo. In fondo, anche Merlino è un mago imperfetto!
Chiudo questa traversata verso il passato con un “guazzabuglio medievale” (per citare ancora il nostro mago) di riferimenti ad altri classici prodotti da Disney che possiamo gustarci in questo magnifico calderone: il cervo che appare all’inizio potrebbe essere Bambi (1942); Semola, costretto a fare da servo in casa del patrigno, potrebbe essere la versione maschile di Cenerentola (1950), così come il torneo rappresenterebbe il ballo e i tentativi di sfilare la spada dall’incudine corrisponderebbero a quelli delle dame per infilarsi la scarpetta; alcune delle trasformazioni di Magò provengono esplicitamente da Alice nel paese delle meraviglie (1951). E qualcuno ricorderà la battuta finale di Merlino, tornato dalla Honolulu del XX secolo, che tenta di spiegare al giovane re cosa sia/sarà un film: «È una specie di televisione, ma senza la pubblicità!». Non solo citazioni dal passato, dunque, ma un altro modo di ironizzare sul (proprio) presente e su tutto ciò che sarebbe un giorno avvenuto.

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