SPECIALE “IO E TE” – Ritorno al Futuro IV


Le immagini, i corpi, tendono al cinema, questo va da sé: è proprio nella giuntura (tra i tempi, gli spazi, i volti, i frames…) che sta il cinema, nella congiuntura ma non nell'insieme, nella “e” tra Io e Te. Lorenzo e Olivia ballano da soli, ma la loro danza segue magicamente lo stesso tempo: se è così, il cinema lo si guadagna sempre in due, mai in solitudine, al contrario di quanto pensavamo di sapere

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“Un mio sogno è interpretare la figlia di Michael J Fox in Ritorno al Futuro IV di Robert Zemeckis”
Tea Falco intervistata da Sentieri Selvaggi

La verticalità di Io e te, il mondo sotterraneo e l’universo che gli abita sopra, il dentro e il fuori, è composta da una scissione dove due estremi separati si prolungano e si ripiegano l’uno sull’altro. Come Lorenzo e Olivia. Ecco la congiunzione, la “e” che separa Io da Te e li unisce, la “piega” che scorrendo tra due piani li differenzia e allo stesso tempo li fa sconfinare l’uno nell’altro. La stanza segreta, la cantina di Olivia e Lorenzo, è un tessuto fatto di mondi avviluppati che si ripiegano uno dentro l’altro in un movimento senza fine. Ogni inquadratura di Io e te è attraversata da una smagliatura che si allarga per contenere un’altra immagine e un’altra ancora, fino “all’infinito fuori campo” di quel magnifico fermoimmagine finale sullo sguardo che Lorenzo ci rimanda.
Ecco, in quella “e” è nascosto il segreto che rende l'ultimo film di Bertolucci davvero pericoloso per il cinema italiano, perché subito pronto a diventare un “precedente”, la dimostrazione da indicare che, com'è ovvio, non è Ammaniti, non sono gli attori né le parole che si dicono, non è la “storia” né l'ambientazione: è sempre e solo lo sguardo – in macchina: quel fermoimmagine appare davvero come la congiunzione nel titolo, unifica definitivamente l'immagine cristallizzandola, e allo stesso tempo è una frattura, uno spazio divisorio (fattivamente “spezza” il film, divide il tempo della proiezione da quello della vita, che riprende subito dopo). E allora è teneramente giusto che Io e Te non diventi mai Noi (altra lezione, va da sé intimamente politica, per il cinema italiano), ma le due persone non facciano che slittare continuamente una sull'altra, in questa sorta di Stanza del Tempo dove i riferimenti temporali sembrano stratificati e rifrullati come uno scavo preistorico al carbon fossile nelle profondità della Terra. Dove gli Arcade Fire possono suonare sopra David Bowie, il microcosmo dello schermo di un pc è raddoppiato da uno sottovetro, vecchi romanzi convivono con istantanee digitali e vestiti ammuffiti dimenticati in un armadio.

E' chiaramente una caccia al tesoro: sono alla ricerca di una presenza senza peso i corpi di Bertolucci, corpi irrisolti e in fuga, che partono da punti diametralmente opposti per poi ritrovarsi dentro lo stesso scrigno/cantina, spazio ideale dell’assenza dove nascondersi per recidere il proprio essere dal mondo. Ma in quel buio che si fa sempre più spesso, perché alla fine rifiutarsi al mondo significa rinunciare al proprio chiarore, con le tapparelle che ci chiudono gli occhi per salvarci dalla realtà e farci vivere nella sua ombra, la vertigine della luce continua ad insinuarsi, a trafiggere lo sguardo rivelando tutta la pesantezza dei corpi.
Le immagini, i corpi, tendono al cinema, questo va da sé: e di nuovo, in assoluto accordo con il pensiero più profondo della nouvelle vague, è proprio nella giuntura (tra i tempi, gli spazi, i volti, i frames…) che sta il cinema, nella congiuntura ma non nell'insieme, ancora nella “e” tra Io e Te. Lorenzo e Olivia ballano da soli, ma la loro danza segue magicamente lo stesso tempo: se è così, il cinema lo si guadagna sempre in due, mai in solitudine, al contrario di quanto pensavamo di sapere.
Quest'ultimo, immenso dono di Bernardo Bertolucci è allora innanzitutto una abbacinante dichiarazione di fiducia, un altissimo atto di speranza (da contrapporre con forza come stiamo facendo al cinema rassegnato del grande “maestro” austriaco…). Io e Te possiamo tornare al Futuro: abbi fede.

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    11 commenti

    • ma quando vi allineate contro haneke o chi per lui, seguite una linea vostra o vi accodate a un certo.. uno che comincia per e e finisce per ezzi? con in mezzo una gh? cioè, tutte queste differenze, queste alte sopportabilità in uno e queste isteriche idiosincrasie per l'altro.. questo accodarsi sempre a nomi noti.. queste liste così listeriche, esposito che su blowup cita i venti-nomi-venti di cineasti giusti (non sia mai: non sia mai che nel giochino facile facile si dimentichi un victor erice vicino a un eastwood: un gioco che sdoganò filmcritica quando? trent'anni fa? e ancora stiamo lì a giocarlo, nell'asfittica timida-timida critica italiana; sbaglierò, ma continuo a vederla molto – non so come dire- ma mi viene femminea.. mi darete contro.. ma veramente è come fare ricamini di bonton cinefilo senza mai sgarrare, attenti poi ai nomini nuovi di registi cosiddetti 'visionari', la cui unica qualità è la pervicacia con cui seguono il circuito dei festival

    • Che noia questi commentucci pseudo critici, mi chiedo ma chi li fa se li rilegge? Questo é un bellissimo articolo su un film che ho amato e vederlo deturpato da un simile commento mi indigna! Tweet!

    • hai ragione, noia&indignazione, indignazione&noia, per chi se non per l'anonimo di turno? d'altronde l'ex-anonima e neomusa improvvisa teafalco è già citata a prescindere come un hegel dall'accoppiata neoadorante critica, ora che è NOME. il nome, imparare i nomi importanti, quelli che contano, è da sempre compito e vezzo critico. anche vov è un buon nome d'arte, credo. ma l'indignazione, quella vera, quella che si punge a veder deturpate cose amate da un commentino di tre righe (e mai un poco sciupate da letture critiche che a me, al contrario, provocano costante insofferenza; infine, ha senso la critica? questo tradurre per i noncapenti?) che nemmeno trattava del film ma di un modo (l'unico) di essere critico, quella è bella, direi. così alta e professorale, solonica. dei soloni cioè di cui sopra, quelli che a forza di dire non è filmico, è poco filmico, si son visti baipassare dai tarantini a destra e a manca, incuranti delle liste di capodanno

    • (per esser più chiaro, e forse un poco meno antipatico; non che siano illeggibili gli articoli critici, qua e là ci sono cose intense interessanti, anche nell'articolo qui sopra sicuro, ma è per me una questione alla fine strategica, sì, strategica: è come se il critico avesse sempre non dico torto, che poi è assurdo (anch'io che faccio qui ora il criticodeicritici l'avrò per forza quindi è un serpente che si mangia la coda), no, è la posizione ripeto puramente strategica a essere per me vagamente ma ineffabilmente poco felice: quella cioè di chi sta per forza di cose su un piedistallo di un certo tipo, ma è difficilissimo starci, rarissimo riuscirvi, a meno appunto di non essere 'ghezzi' che davvero è enorme (il suo detour infinito lo immagino giallo in una piccola biblioteca adelphi compatto; nessuno però ne parla..), ma poi sì ci sono più o meno bravi, con un'intelligenza, però sento sempre questo accodarsi, questa timidezza, giustezza.. chiudo però

    • enorme (enorme fa ridere e al tempo stesso è vero proprio perché fa ridere, kubrickianamente il basso tocca l'alto) perché sfatto, disperso, cubista, lui e non lui al tempo, macchina e umanotroppoumano in uno, mentre in altri quasi sempre si coglie la ricerca (asfittica) di direzioni, anche di scrittura, laddove non ce ne sarebbero (è il cinema stesso a dirlo; credo proprio quest'ultimo film). troppo poco vagliato dai critici stessi, per me p.es. fu importante più di diversi godard il suo 'gelosi e tranquilli', visto e rivisto in videocassetta (fino al prestito della stessa a un'amica di mia madre che vi registrò sopra brani di harem della spaak, spaccandolo). mereghetti credo lo liquidò breve. altri non ne parlarono. dimenticato come una parentesi non sua. in realtà stolido sublime, forse riassunto (??) nello 'stronzio' underground che si dice causò la morte di.. comunque, ecco, non è ghezzi, ghezzi stesso non lo è, semplicemente bisognerebbe essere se stes …

    • si (rima, assonanza sì)

    • @vov si è capito che vuoi scrivere su sentieri selvaggi, ma usare i commenti per farlo è proprio triste. prova a scrivere alla redazione, forse ti prendono!

    • tristissimo se fosse, ma non vorrei mai (farei autogoal), e non sarei ovviamente in grado. invidio la capacità di parafrasi da scuola di molti. no, poi, 'vorrei': ci scrivo già, rare volte, ma nello spazio 'alternativo' dei commenti, grazie, devo dirlo, all'idea democraticissima e aperta del sito/rivista. tu mi leggi, e chi altro. è come il classico sasso nello stagno (ma inutile e lanciato da posizione impossibile, dietro frasche voviane che mi nascondono; anche se: perché i commenti non possono essere lo spazio 'forum' che mai fu? perché non aperto e scandagliante? perché sempre pensare tristemente a piccoli cabotaggi autopromozionali..? perché additare haneke anziché cercarlo in noi.. ritornante in altre forme non filmiche?), il 'message' che..(eccetera): mi basta, anzi, a esser precisi, mi avanza (però basta hai ragionissima, ogni risposta quieta a un mezzo 'insulto' è anche un darti ragione per 'troppo inutilmente scrivere'

    • (eppure non posso non riconoscere a Lorenzo Esposito – autore del Prossimo villaggio romanzo episodico di distornamenti infinitesimali e succedanei per varchi e slittamenti psicolabili scritturali-, non posso non riconoscergli dicevo un intenso ripercorrere zone critiche fatalmente già battute dai suoi maestri (la lista 'facile facile' a questo si rifaceva, non tanto agli ormai ovvi benché rituali o affettuosi accostamenti). è per questo che a picchi e momenti mi riesce anche inviso, oltre che invisibile nella congerie dei testi critici: me ne scuso. nello 'sparare nel mucchio' ho colpito lui, nemmeno sfiorandolo spero. ma. in questo senso decisivo appare il passaggio dalla vita alla morte nella scena di fermezza straubiana della carica fallita all'arma bianca del warhorse ultimo. la vita già morta si consegna in una frontiera brevissima di spaziotempo al suo negativo eternante, il cinema stesso fatto di cavalli di muybridge al galoppo.

    • redazione ma non ci sta un limite per il numero di commenti di uno stesso utente?

    • 'con una risata cattiva capovolge le cose che trova velate, risparmiate da un qualche pudore: vuol provare come esse appaiano, quando sono messe a testa in giù. per capriccio, per puro gusto del capriccio, rivolge adesso il suo favore a quanto finora è stato in cattiva fama: s'aggira, curioso e tentatore, intorno alle cose più proibite.' (e quanti questurini per la via..)