Spike Lee: un antieroe nella New York post 11/9.

Difficile, per noi di Sentieri selvaggi, sentirsi vicini allo stile sobrio e britannico di “Sight & Sound”, una delle più autorevoli riviste di cinema europee, edita dal British Film Institute. Ma anche qui si possono trovare degli spunti interessanti, come questa controversa recensione di Amy Taubin sull'ultimo, immenso, capolavoro di Spike Lee

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Martin Scorsese, Spike Lee, Abel Ferrara e Jones Mekas sono i grandi registi contemporanei della città di New York. Per loro, New York non è soltanto una location; è una forza generativa, una presenza avvolgente, addirittura un'ossessione. Dei quattro, Lee è stato il primo a girare un film nella città del post 11 Settembre. (Dell'immagine delle Twin Towers nel montaggio finale di Gangs of New York è meglio non parlare.)

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La 25ma ora di Spike Lee traccia la rotta di una giornata molto speciale nella vita di Monty Brogan (Edward Norton). È la sua ultima giornata da uomo libero, l'ultima prima di andarsene al Nord della città per scontare una sentenza di sette anni per spaccio di droga. Monty cerca di tenere sotto controllo rabbia e paura mentre prova a rimettere a posto i cocci della sua vita: trovare una casa per Doyle, il suo bastardino simil Pitt-bull; riconciliarsi con suo padre (Brian Cox); fare un'ultima festa con i suoi due migliori amici, Jacob (Philip Seymour Hoffman) e Slaughtery (Barry Peper); e scoprire se la sua ragazza Naturelle (Rosario Dawson) ha fatto la spia ai poliziotti. Nel frattempo si chiede se una pallottola nel cervello o la fuga non siano delle alternative preferibili a prenderlo nel culo -e non metaforicamente- per sette anni. La sceneggiatura è stata scritta da David Benioff basandosi sul proprio romanzo d'esordio […]


Considerando che gli studios si guardano bene dal considerare New York qualcosa di più che uno sfondo per film di genere […], è già sorprendente che Scorsese e Lee, i cui film sono positivamente Shakespeariani nel loro dipingere le relazioni tra individui e con la società, vengano finanziati dall'industria. (Gli sforzi di Makes, regista d'avanguardia, e di Ferrara, indipendente della scena underground, per quanto altrettanto duri, si rapportano ad una scala economica differente). Ma nonostante il nervosismo nei confronti di film anche solo tangenzialmente connessi a temi contemporanei di interesse politico o sociale, gli studios non possono ignorare per sempre il problema di mostrare il dopo 11 Settembre. […] In pratica, [per La 25ma ora] il regista ha preso un romanzo pubblicato nel 2000 aggiornandolo al 2002, semplicemente aggiungendo una dozzina di righe al dialogo, girando una scena dentro un appartamento che si affaccia su Ground Zero (ripulita dei detriti, la sua superficie liscia ricorda quella di un gigantesco parcheggio vuoto), coprendo una parete del bar appartenente al padre di Monty con le foto di pompieri scomparsi, e incorporando i chilometrici fasci di luce blu che hanno segnato il primo anniversario del 9/11 alla scena d'apertura, un incantevole montaggio dello Skyline notturno di New York. La 25ma ora cattura quella specifica sensazione che hanno tutti i Newyorkesi abbastanza fortunati da non avere sofferto di una perdita personale nel corso degli attentati: che nulla è cambiato, eppure tutto è differente.

Pur essendo senza alcun dubbio uno dei migliori film del 2002, La 25ma ora è al contempo poco consistente rispetto al resto dei lavori di Lee. Non ha un quarto della passione di Clockers (1995), né metà dell'intelligenza di Summer of Sam (1999), per citare solo due suoi film grossolanamente sottovalutati, ed entrambi direttamente legati a quello in questione. […] Lo schema temporale di 24 ore conferisce una struttura coerente a un film che altrimenti sarebbe potuto sembrare oppresso da digressioni, flashback e momenti topici. Fondamentalmente, si tratta della stessa struttura narrativa adottata da Lee in Fa la cosa giusta (1989). La qualità propulsiva di La 25 ora è il risultato di due fattori: il montaggio nervoso di Berry Alexander Brown (Brown è capace di trasformare una serie di controcampi in meravigliosa ritmicità, con i tagli che non cadono mai esattamente dove uno si aspetterebbe), e la performance di Norton. […] Lee è più interessato ai rituali e alla psicologia dei legami tra uomini (tra uomo e cane, tra amici d'infanzia eterosessuali), che al suo antieroe Monty Brogan. Monty e Slaughtery sono cresciuti insieme in un quartiere della working class irlandese. Alle superiori sono diventati amici di Jacob, un ragazzo ebreo di buona famiglia, perché potevano fidarsi di lui in un modo in cui non potevano fidarsi tra loro. Monty confida nel fatto che Jacob sistemerà bene il suo cane, cosa che non potrebbe mai aspettarsi da Slaughtery. Nonostante le differenze di personalità (la differenza tra il senso di colpa dell'ebreo di classe media e il senso di colpa dell'irlandese di classe lavoratrice non può essere presa alla leggera), tutti e tre sono arrivati a una situazione in cui l'autodistruzione è incombente. Monty aveva sentito che era ora di smettere con lo spaccio sei mesi prima di essere preso, ma non resiste alla tentazione di un ultimo colpo. Slaughtery è un trader che opera nel mercato dei future finanziari e scommette con il denaro altrui ma prova eccitazione rischiando la propria carriera nell'affare (nella transazione). Jacob, che è diventato insegnante nella stessa scuola superiore che aveva frequentato con Monty e Slaughtery, è infatuato di una delle sue allieve teen-ager, prevalentemente perché sa che appena allunga una mano su di lei sarà licenziato.


Considerata l'ambientazione post 11/9, viene almeno spontaneo domandarsi se questa tendenza a camminare sul filo non sia forse un tratto comune del carattere newyorkese, che magari spiegherebbe almeno in parte perché così poca gente ha lasciato la città dopo il disastro. In una delle più memorabili ricontestualizzazioni che Lee trae da una pagina del romanzo, Jacob e Slaughtery discutono del futuro di Monty (o meglio dell'assenza di un futuro), mentre guardano in basso dalla finestra dell'appartamento di Slaughtery, verso il punto dove un tempo sorgevano le World Trade Towers. Il sottotesto della loro conversazione – il senso di colpa, rabbia e impotenza per non avere fatto nulla per trattenere l'amico dalla distruzione – suggerisce qualcosa di quello che gli abitanti di New York provano riguardo l'attacco dell'11 Settembre. Ma poi irrompe portentosamente una musica (l'invadente colonna sonora di Terence Blanchard da quasi il colpo di grazia al film), lo zoom si stringe nel vuoto sottostante e tutta la sottigliezza della scena se ne va letteralmente fuori dalla finestra.

C'è un certo numero di momenti similmente mal calcolati lungo il film, molti dei quali indicativi di quanto Lee abbia bisogno di sospingere il proprio esitante interesse nel materiale. E' un errore che il dolly si attacchi a Jacob con le lenti praticamente incollate alla sua faccia dopo che sotto l'effetto dell'alcol è caduto in tentazione durante la festa d'addio a Monty. E che la stessa manovra venga usata da Lee durante la scena fatale in cui Malcom guida verso la Audbon Ballroom in Malcom X (1992) non fa che accentuare il suo carattere stridente nel momento in cui viene usata in circostanze tutt'altro che eroiche. Lo stesso dicasi per i primissimi piani non diegetici di volti afro-americani, asiatici e ispanici, un modo crudo di ricordarci che, anche se sono caucasici, i protagonisti di questo film vivono in una città etnicamente eterogenea. Questi inserti hanno un effetto particolarmente disorientante nella scene in cui Monty si guarda allo specchio e proietta la sua rabbia in una litania di "fuck yous" che comprende qualunque etnia, razza o classe. Se il significato della scena è che per quanto si sforzi di scaricare su tutto il resto del mondo la propria difficile situazione, Monty non  può sfuggire al riflesso di sé stesso, allora perché Lee ci mostra tutti questi inserti e da che punto di vista li guardiamo noi? Nonostante questo disordine, la scena rimane sensazionale per un aggiornamento al mandatario di Monty, per il resto del tutto fedele al romanzo: un "fottiti" diretto ai dirigenti della Enron seguito da un'affermazione di sei parole che Norton recita sottotono ma con effetto devastante: "Bush e Cheney sapevano, loro sapevano".


La rabbia trattenuta a stento che in questo film diventa la caratteristica distintiva della mascolinità bianca viene liberata nella scena topica in cui Monty incita Slaughtery a picchiare a sangue la sua faccia in modo da non arrivare in prigione con l'aspetto di un bel ragazzo. Se riesce a sembrare brutto, ha una possibilità di evitare quello che lo spaventa di più del carcere: stupro anale e conseguente demascolinnazione. La 25ma ora non è il primo film che solleva lo spettro degli stupri in carcere. Ci sono state dozzine di pellicole (commedie come film drammatici) negli scorsi due decenni che almeno hanno fatto riferimento a questo argomento, generalmente come modo di dare sfogo a un'ansia omofobica più generalizzata e altrimenti difficile da trattare. Le fantasie di Monty riguardo lo stupro hanno molto spazio anche nel romanzo di Benioff. Ma è il collegamento tra la paura personale di Monty nei confronti della demascolinizzazione  e il senso di castrazione che è al centro del malessere post-11/9 che rende La 25ma ora così ossessionante – più dopo che durante l'effettiva visione. A volte un grattacielo è solo un grattacielo, ma non è così nel caso delle Twin Towers, che sono sempre state un simbolo vistosamente fallico, e mai così tanto come da quando sono state abbattute. (E lo stesso si potrebbe dire dei missili "oversize" in Iraq). Dopo tutto, l'immagine del Pentagono con un grosso buco al centro è stata relegata nel cestino Avid della storia nel giro di una settimana, mentre l'immagine delle Twin Towers in fuoco è stata feticizzata fino a surclassare quella delle prima bomba atomica che esplodeva su Hiroshima. La debolezza de La 25ma ora sta nel fatto che Lee non riesce a mantenere interesse in Monty. Quello che gli interessa è New York, nella morsa del sogno di ansia da castrazione che permeerà l'inconscio collettivo delle città restandovi molto oltre lo scadere della pena che Monty Brogan deve scontare.


 


Di Amy Taubin, da Sight and Sound, Aprile 2003. Traduzione di Marina Nasi

 


In circolazione da più di 70 anni, Sight and Sound è la rivista ufficiale del British Film Institute, il prestigioso centro londinese di cultura e diffusione cinematografica. Esce ogni mese in formato patinato e accattivante, più corposo dell'analogo usa "Film Comment" (legato al Lincoln Center di New York), e quasi sempre carico di interviste importanti. Il tono degli articoli è serio, come richiede l'istituzione che lo promuove, ma non serioso, grazie all'approccio disinvolto alla cultura popolare che hanno quasi tutti i media britannici. È raro trovare in copertina film poco noti o scarsamente promossi. In compenso, la materia cinematografica è trattata con sufficiente entusiasmo e competenza, corredata da belle foto e impaginazione accurata.

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