Spira mirabilis a Bari. Massimo D’Anolfi a Registi fuori dagli sche(r)mi

Il regista ha presentato alla rassegna diretta da luigi Abiusi il film che è stato in concorso all’ultimo Festival di Venezia. L’incontro si è tenuto lo scorso 27 ottobre

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Massimo D’Anolfi, in rappresentanza della coppia di cineasti, Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, ha presentato alla rassegna barese Registi Fuori dagli Schermi, l’ultimo lavoro Spira mirabilis, tetralogia sulla tensione d’immortalità cui l’uomo anela manipolando la natura, già in concorso alla 73ma Mostra del Cinema di Venezia.

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“Miracolo del cinema italiano contemporaneo. ‘Scheggia ibrida’ a cavallo tra i generi e ricolma di poesia”, così ha introdotto l’opera, al sempre nutrito pubblico in sala, il direttore artistico Luigi Abiusi.

Ad approfondire visione e conversazione, il critico cinematografico Michele Sardone, il quale da subito ha suggellato lo stile rigoroso e al contempo aperto all’interpretazione del duo registico, oggi tra gli emblemi di un cinema di ricerca, sempre teso ai vertici del linguaggio audiovisivo.

Pertanto, d’obbligo è occorso il chiarimento sulla inconsueta natura documentaristica firmata D’Anolfi e Parenti “… se c’è ancora qualcosa che differenzia il documentario dalla finzione è la non retribuzione degli attori. Nel documentario le persone ti regalano se stesse pur subendo un atto di violazione e noi consapevoli di questa responsabilità, cerchiamo di onorare il patto di fiducia tra autore e spettatore. Ci nutriamo di ciò che definiamo realtà, ma non amiamo le definizioni, perciò tentiamo di restate nelle possibilità. ‘Spira Mirabilis’ ha in sé, infatti, un tradimento: ai 4 elementi si aggiunge l’etere, come personalissimo omaggio al cinema tramite l’interpretazione di Marina Vlady, attrice professionista. È questo un film ibrido, orgogliosamente imperfetto.”    

E sull’esistenza di un limite etico del filmabile ha proseguito: “I limiti non sono mai dati, ma si incontrano strada facendo. La morte è filmabile o solo evocabile sempre in modo potente. Superando la nota questione estetico – morale di Jacques Rivette, la risposta risiede solo nel coraggio di confrontarsi sempre con le cose”.

“Forse che la Medusa Scarlatta”, icona del film, “sia proprio un’antitesi del cinema che filma la morte” ha suggerito Abiusi, portando il regista a concludere “in effetti, è questa una sorta di storia d’amore, tra lo scienziato e la medusa, organismo senza cervello, ma tutto cuore. Un amore che inizia però con un atto di tortura (gli esperimenti di amputazione necessari ad innescare la rara auto-rigenerazione della medusa) e che potrebbe trovare radici ascetiche nelle estreme prove corporali dell’antica filosofia buddhista”.

D’Anolfi è inoltre tornato sulla polemica critica, che vorrebbe film di alta fattura cognitiva, come Spira Mirabilis, film scomodi per i festival e il mercato, ammettendo un certo “affanno distributivo”, ma affermando l’importanza di una concezione della sala quale sinonimo di collettività a prescindere dal luogo deputato “Non difendiamo la sala in sé, ma la proiezione collettiva. Il film muta a seconda degli occhi e dei cuori che lo accolgono, in un viaggio che è esclusivo dello spettatore”.

Non stupisce, allora, come contro i pregiudizi del caso, l’eccezionale evento barese – cui si deve il merito di aver ampliato l’esiguo tour del film – sia stato animato da una quasi inesauribile corresponsione di interesse ed entusiasmo tra pubblico e regista: “Ogni nostro film nasce dalla sfida con quanto raggiunto in precedenza. Resta, che tra gli interessi ricorrenti del nostro filmare ci sia il caos colto nella porzione inquadrata (cosa che nel cinema spesso soccombe sotto la drammaturgia dei dialoghi). Nella percezione del paesaggio visivo occorre tener conto di molti elementi, per esempio nelle inquadrature delle statue del Duomo di Milano, molto peso hanno giocato le correlazioni tra vento e luce; invece, negli episodi dei nativi d’America, asceti del fuoco, la parola riveste un ruolo quasi esponenziale, perché materia prima della tradizione del tramandare. Atto di resistenza contro l’estinzione comunitaria, che da secoli li vede vittime e che trova proprio nella conservazione della lingua parlata, autentico campo di battaglia”.

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