Sposami, stupido, di Tarek Boudali

Si dimostra essere qui in Italia nella consuetudinaria dismissione estiva un taumaturgico animale da botteghino (terzo film per incasso, sabato 23 giugno) che delizia l’hard reset (fine)settimanale

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Che la soluzione al mancato rinnovo del visto di permanenza sul suolo francese fosse maritarsi col proprio migliore amico ha per Yassine, aspirante architetto marocchino trasferitosi a Parigi per l’università, il sapore della trovata geniale. Che la soluzione a un possibile deficit d’idee narrative ed estetiche della commedia francese potesse trovarsi nell’accoglimento cinematografico di un pout-pourri costituito – sapientemente (?) – da una serie di cliché sull’omosessualità e sul sentimentale, dovrebbe avere per gli spettatori, ai quali piace in verità soprassedere, forse per gli afflati zaloniani, l’odore del piatto, cinematografico, da scansare a priori.
Eppure questa sorta di Gesamtkunstwerk della coppia Tarek Boudali – Philippe Lacheau (Yassine-Fred) si dimostra essere qui in Italia, nella consuetudinaria dismissione estiva della sala cinematografica, un taumaturgico animale da botteghino (terzo film, per ordine d’incasso, sabato 23 giugno) che delizia quel palato alla ricerca dell’hard reset (fine)settimanale.

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E tuttavia è proprio il concetto di reset a manifestarsi come il grande assente di Sposami, stupido, che deve essere considerato, nella sua incapacità di disattivare lo stantio costruito da e per decenni, come un dispositivo non originale e bulimico di backup. Ogni gag fatta dal duo – anche quando avviene in solitaria – sembra provenire da un passato già memorizzato; ogni sketch con gli altri protagonisti evidenzia una possibilità narrativa per poi inglobarla immediatamente in un nuovo salvataggio: dall’étranger Yassine, corridore spaesato sulle strisce pedonali mentre il semaforo è rosso, alla ragazza in sovrappeso con cui si fidanza – si può ancora scrivere in maniera politically correct nonostante certe scene, certe visioni?– e al tentativo di salvare Fred dall’affogamento passando per la nonnina ninfomane, il ragazzo non vedente e il prefetto alle prese con lo smascheramento del finto matrimonio, le situazioni e i personaggi diventano reperti a portata di mano da riprendere, riutilizzare e modificare a proprio piacimento e in qualsivoglia istante fino al collasso del dispositivo, che può così ambire, nel rigetto dei dati salvati, oramai persi alla deriva, alla ricercatezza della sua fintamatrice surrealista.

Osservare sullo schermo la sconclusionatezza con cui le relazioni amorose di Sposami, stupido si trasformano in figure geometriche sempre più complesse per poi dipanarsi, finalmente, nella loro linearità può considerarsi un atto performativo inferiore soltanto alla doppia sequenza che chiude il film: qui il prefetto della città in cui è nato Yassine prima rovescia, di fronte al ragazzo e a Claire – la ragazza francese divenuta nel frattempo sua moglie e trasferitasi in Marocco – certa retorica su cui si fondano i discorsi contro l’immigrazione: «il Marocco non ha alcuna intenzione di accogliere tutta la miseria del mondo»; dopodiché in un ciak sbagliato l’attore implementa la stessa retorica con accenti deliranti: «vi starò con il fiato sul collo […] io sono lo sciacallo di Dusseldorf […] io sono un animale!».
In fondo a un mero surrealismo si poteva preferire la destrutturazione di questi elementi politico-iconici: reset.

Titolo originale: Épouse-moi mon pote
Regia: Tarek Boudali
Interpreti: Tarek Boudali, Philippe Lacheau, Charlotte Gabris, Julien Arruti, Baya Belal, Philippe Duquesne, Zinedine Soualem, Doudou Masta, Yves Pignot, Fatsah Bouyahmed
Origine: Francia, 2017
Distribuzione: Koch Media
Durata: 92′

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