SQ2019 – Diamantino, di Gabriel Abrantes e Daniel Schmidt

Al Sicilia Queer Film Fest arriva la forza corrosiva e grottesca di Diamantino, primo film di Gabriel Abrantes e Daniel Schimdt, ragazzi terribili del cinema queer che un anno fa vinsero la Semaine

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“That those receive and act out the gift of athletic genius must, perforce, be blind and dumb about it and not because blindness and dumbness are the price of gift, but because they are its essence.” David Foster Wallace – How Tracy Austin Broke My Heart

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Al Sicilia Queer Film Fest arriva la forza corrosiva e grottesca di Diamantino, primo lungometraggio di Gabriel Abrantes e Daniel Schmidt, i ragazzi terribili del cinema queer che già avevano collaborato nel cortometraggio A History of Mutual Respect (2010) e nel mediometraggio Palacios De Pena (2011). Il film narra la favola di Diamantino Matamouros (il bravissimo Carloto Cotta), un Michelangelo del calcio portoghese che usa solo il 10% della sua materia cerebrale ed ha una consapevolezza inversamente proporzionale al talento atletico. Risulta evidente a quale star del football i due geniali registi facciano riferimento, ma l’apologo del divo intrappolato nella società dello spettacolo che lo ha generato è un pretesto per infilare all’interno della narrazione influenze letterarie (il saggio How Tracy Austin Broke My Heart di David Foster Wallace che indaga la banalità del quotidiano dietro la vita di una star dello sport), design da pop art, animalismi (cani pechinesi e gatti), spie di colore introdotte in case come in una commedia di Plauto o Terenzio, hackeraggi da 007 informatici con password improbabili, il gommone dei rifugiati che incontra lo yacht del miliardario, la influenza dei mass media nel formare un pensiero collettivo, manipolazioni genetiche sul modello di Gattaca, la crisi economica del 2008, le forze nazionaliste che spingono per l’uscita del Portogallo dalla Unione Europea.

Il tono del film è volutamente sopra le righe, parodico ma mai volgare, in equilibrio tra la commedia dell’ambiguità sessuale del primo Almodovar e la comicità surreale del “bello bello bello in modo assurdo” dello Zoolander di Ben Stiller. Abrantes e Schmidt dichiarano di essersi ispirati al Balthazar di Bresson nel disegnare il personaggio di Diamantino ma al di là della battuta sarcastica, nello stupore catatonico e nell’ingenuità di Diamantino si possono ritrovare sia echi di Forrest Gump che di Chance il giardiniere. Anche i personaggi di contorno sono rappresentati con questa connotazione surreale: le due sorelle Sonia e Natasha (Anabela e Margarida Moreira) si arrabbiano all’unisono e sembrano la degenerazione parodica di Felicita e Adelaide ne La bella e La Bestia di Jean Cocteau, l’agente dei servizi segreti Lucia (Maria Aleite) si traveste da suora con un copricapo felliniano, la Dr Lamborghini (Carla Maciel) cerca la impossibile chimera da clonazione come un moderno Dr Frankstein, Aisha (Cleo Tavares) si traveste da maschio e perde le connotazioni lesbiche per tuffarsi in una storia transgender.
Ci sono momenti irresistibili come la scorribanda dei pechinesi giganti nel campo da calcio (a sottolineare una subconscia mancanza di affetto), la campagna pubblicitaria con i manifesti giganti di Diamantino, gli addominali della star che si trasformano in tette per effetto collaterale, l’amplesso tra Lucia e Aisha sotto lo sguardo della telecamera nascosta nel dinosauro e il bacio della buonanotte di Diamantino nella variante calcistica con semirovesciata finale.

Anche se nella seconda parte non tutto fila liscia con il dramma di una storia d’amore impossibile e improbabile, ci pensa la colonna sonora a riportare il sorriso con l’uso di I Love You Always Forever di Donna Lewis e certe musiche classiche che rimandano in maniera irriverente al New World di Terrence Malick.
Fotografato in maniera ipertrofica da Charles Ackley Anderson, premiato a Cannes nel 2018 con il Premio Settimana della Critica, Diamantino mette insieme le trovate visive alla Michel Gondry, la crisi di identità sessuale Jarmaniana, con la acuta analisi di una società contemporanea divorata dall’ansia dell’apparire e tutta chiusa nel proprio egoismo narcisistico.
L’intelligente opera di Abrantes e Schmidt non ha la rassegnazione di un’ironia fine a sé stessa ma la corrosione di una satira politica che indaga la deriva reazionaria di gran parte dell’ Europa contemporanea.

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