Supercondriaco – Ridere fa bene alla salute, di Dany Boon

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Ciò che funziona in Supercondiaco e più in generale nelle performance attoriali di Dany Boon, sono le gag, mai volgari, incorniciate nella sua mimica. Ma perché il film nonsi è accontentato di ingredienti quali l’autoironia, la riflessione sociologica sull’effetto boomerang dei new media, l’amore ai tempi della rete e la comicità garbata che tanto gli appartiene?

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«I dottori googlano i pazienti»- ha dichiarato al New York Times Haider Javed Warraich, medico del Beth Israel Deaconess medical center di Boston – «spiandoli per migliorare le loro diagnosi». Dall’altra parte dello schermo, gli internauti elaborano autoanalisi dai dati disponibili in rete e «i medici si trovano sempre più spesso di fronte a pazienti che non arrivano più con dei sintomi, ma direttamente con la diagnosi!» spiega Dany Boon raccontando il suo quarto film da regista Supercondriaco – Ridere fa bene alla salute.

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Protagonista il quarantenne Romain Faubert (Dany Boon), single e senza figli, impiegato come fotografo per un dizionario medico on line. Vittima dell’ipocondria, Romain è un caso disperato: niente baci (neanche alla mezzanotte del nuovo anno), disinfettante sempre alla mano, pareti domestiche foderate di farmaci, sedute sempre più lunghe e improbabili dal suo medico di fiducia, il dottor Dimitri Zvenka (Kad Merad). Proprio Dimitri, stanco di questo particolare paziente, deciderà di curare la sua vera malattia: la solitudine. Allora via ai consigli stile Men's health (come ottenere pettorali da urlo con tre semplici click), account fasulli su siti di incontri, e feste da ballo. Ma Romain riuscirà a guarire solo ribaltando il suo ruolo: da antieroe ad eroe improvvisato, straniero e fascinoso.

Mantenendo lo stile scanzonato da commedia degli equivoci, Dany Boon accantona il campanilismo degli ultimi due film da lui diretti (Giù al nord e Niente da dichiarare?), per dedicarsi alle avventure dell’ipocondriaco metropolitano Romain, a cui, in verità, somiglia un bel po’. Il regista si dichiara infatti affetto dal disturbo psichico, divenuto lo spunto di questa parodia esasperata, che decolla a motori spiegati per poi rallentare fino a perdere del tutto il carburante. Ciò che funziona in Supercondiaco e più in generale nelle performance attoriali di Dany Boon, sono le gag, mai volgari, incorniciate nella sua mimica che ricorda molto quel Monsieur Hulot di Jacques Tati. Sostenuto dalla complicità effervescente dell’amico/collega Kad Merad, Dany Boon si apre al ménage à trois lasciando spazio alla bella Alice Pol, che nel film è l’unica donna in grado di sopportarlo. Ciò che viene da chiedersi è: il film non poteva accontentarsi di ingredienti quali l’autoironia, la riflessione sociologica sull’effetto boomerang dei new media, l’amore ai tempi della rete e la comicità garbata che tanto gli appartiene? Soprattutto quando l’intreccio si strozza da solo durante le scene di inseguimento ambientate in una prigione (in realtà ex rifugio anti-atomico di Bucarest) , dove Romain è incarcerato perché scambiato per un eroe ricercato del Tcherkistan. Una sceneggiatura pretenziosa, che procede per balzi (o meglio tonfi) decisamente scoordinati

 

 

Titolo originale: Supercondriaque

Regia: Dany Boon

Interpreti: Dany Boon, Kad Mérad, Alice Pol, Jean-Yves Berteloot, Judith El Zein, Marthe Villalonga, Valérie Bonneton, Bruno Lochet

Distribuzione: Eagle Pictures

Durata: 107’

Origine: Francia, 2014

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