Sword Art Online The Movie – Ordinal Scale, di Tomohiko Itō

Viene meno la separazione tra realtà e finzione, realtà come spazio in cui verità e finzione possono intrecciarsi. L’idea di base dell’anime è lodevole ma non approfondita. In sala 13-14 giugno

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Siamo andati a vedere, con spirito veramente esplorativo, Sword Art Online Ordinal Scale, il primo film creato dalla molto famosa saga (famosa tra gli adolescenti giapponesi e americani) Sword Art Online. Esploratori perché se non si conosce a fondo tale saga la trama non è semplice da seguire, e dura anche due lunghe ore. Questo porta alla fine a una distanza che spiace, e fa subito venire in mente paragoni impossibili con capolavori come Akira, che riuscivano ad andare potentemente oltre la propria storia e a parlare a tutto il mondo. La storia parla di un piccolo gruppo di giocatori online che giocano all’ultima versione di Sword Art Online, cioè Ordinal Scale appunto, e attraverso molteplici ostacoli riescono, nelle figure di Kirito e Asuna, a scoprire e fermare un piano ordito dal creatore del gioco per usare i ricordi dei giocanti al proprio fine di ricreare l’anima della figlia morta e farla rivivere come intelligenza artificiale.

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Già da qui vediamo come il piano reale e i piani fittizi si intreccino pesantemente. Il problema è proprio la superficialità dell’intreccio. Nel film le realtà sono separate, e solo attraverso dispositivi tecnologici si può andare dal piano reale alla realtà virtuale e alla realtà aumentata. Si fa poi netta distinzione tra realtà virtuale ed aumentata, laddove la seconda non avrebbe bisogno dell’immersione necessaria alla prima, e porterebbe lo user ad essere quindi più veloce nell’interagire con gli abitanti di tale realtà. Questo ci fa riflettere perché oggi, nel 2017, consideriamo realtà aumentata una realtà oggettiva, aumentata solo per dati che possiamo utilizzare in diretta tramite dispositivi di sostegno (tipo il cruscotto della macchina). Ma l’anime è ambientato in un prossimo futuro dove tali dati possono diventare anche figure vere e proprie (come i mostri che i ragazzini devono combattere). Quindi siamo molto più passivi nella realtà virtuale che nella realtà aumentata. Il nodo è interessante nella misura in cui viene meno la separazione tra realtà e finzione e si inizi a vedere la realtà come grande spazio in cui verità e finzione possano intrecciarsi. Forse fino a dire che sono la stessa medesima cosa.

L’idea di base è lodevole, ma non solo gli autori non sembrano interessati ad approfondirla, bensì si crea proprio un plot superficiale che rimane molto lontano da una focalizzazione pregna di senso. Il fine è divertire un pubblico di fan adolescenti e il successo commerciale pare dare ragione. Rimane il nodo della credibilità. Riprendendo l’esempio di Akira, si aveva lì una straordinaria drammaticità (e in effetti non si può dire fosse creato solo per adolescenti) che toccava più piani, dal tecnologico al religioso, al filosofico al poetico. Fino a ottenere una dimensione onirica completamente assente da Sword Art Online. Ma questo porta a ipotizzare come i giovani del film (e forse del mondo di oggi) sentano un bisogno di ampliare la oggettiva possibilità di vedere a discapito completo della capacità di immaginare.

Sentiamo un loro forte bisogno di certezze quali che esse siano, in modo da essere aiutati nel vivere quotidiano, in un mondo completamente privo di genitori, di autorità, di limiti, di figure paterne. Non solo l’unico personaggio adulto del film è un padre distrutto dal dolore per la morte della propria figlia (morte forse anche da lui provocata) ma è pure uno scienziato pazzo che non disdegna di usare altri giovani per sacrificarli alla propria idea. La cosa ha un effetto forse finale nella capacità di guardare un film in modo classico ma può dare vita ad altre forme di cinema che devono ancora darsi.


Titolo originale: id.

Regia: Tomohiko Itō
Origine: Giappone, 2017
Durata: 120′
Distribuzione: Nexo Digital/Dynit

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