Terapia di coppia per amanti, di Alessio Maria Federici

Pietro Sermonti è il veicolo perfetto per le idee discrete, mai dirompenti ma spesso in misura inusuali che Diego De Silva ha messo in questo script dal suo romanzo omonimo. Preapertura #RomaFF12

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E’ evidente sin dallo sketch iniziale con cui il personaggio di Modesto Fracasso “smonta” il cliché della voce narrante che si temeva anche in questo caso invalicabile, risolto con la tendenza del protagonista a parlare con l’inseparabile cane Zecca proprio parodiando i toni delle voci narranti nei film: Pietro Sermonti è il veicolo perfetto per le idee discrete, mai dirompenti ma spesso sorprendentemente inusuali, che il romanziere Diego De Silva ha messo in questo suo script, tratto dal fortunato romanzo omonimo.
Ne guadagna la struttura intera del film di Federici, che si vede così alleggerito dal doversi sforzare di trovare una maniera per mettere in scena con una pur minima freschezza toni e canovacci ben familiari del nostro “giovane cinema borghese” – e ne guadagna anche e soprattutto Sermonti, vera arma segreta dell’intera operazione in una caratterizzazione a tratti davvero irresistibile, una sorta di Paul Rudd capitolino che qui trova nel ruolo del musicista dotato ma pigro, irresponsabile e menefreghista ma dall’innata tenerezza e dal micidiale senso dell’umorismo, forse il reale superamento delle figure esageratamente macchiettistiche a cui le nostre commedie sembravano averlo incastonato.

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L’ambientazione nel giro musicale romano (musiche di Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours, Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Esplosion a “doppiare” le mani di Modesto negli istanti alla chitarra…) permette a Federici e De Silva di mantenere un’aria moderatamente alternativa, vagamente originale ma senza eccedere, per portare a casa qualche istante addirittura dalla tendenza destrutturalista, da svelamento dei meccanismi della ricetta (l’immancabile telefonata di sfogo che qui avviene davanti ad un pubblico che si produce in un applauso finale, ad esempio): è chiaro che giocare con le letture psicanalitiche è innanzitutto da questo punto di vista un ulteriore aiuto in fase di scrittura, e di posizionamento – fin troppo calcolato e sottolineato (lo strumento da accordare) – dei segni.
D’altra parte, queste sedute di terapia con Sergio Rubini, il quale con De Silva aveva realizzato Dobbiamo parlare, si rivelano quasi da subito istanti come estrapolati da quel film, una forma a cui Federici non sembra mai appartenere per davvero, e infatti nessuno ci crede sul serio, diventa tutto un espediente per un ennesimo raddoppio di simmetrie e situazioni parallele (anche lo psichiatra ha l’amante e un analista, vuole imparare a suonare come il padre di Modesto – l’ineguagliabile Franco Branciaroli – e così via) che paradossalmente finisce per nuocere innanzitutto alla controparte femminile della compagnia.
Ad Ambra Angiolini è affidato così un ruolo in ripetuto depotenziamento per via di alcune deviazioni forse sacrificabili (il figlio bullizzato, l’amica che ha paura delle montagne russe…), e l’opera preferisce la via della dispersione evanescente alla risoluzione effettiva, praticamente evitata con un finale che confonde il tono volutamente sospeso con una certa frettolosità.

Regia: Alessio Maria Federici
Interpreti: Ambra Angiolini, Pietro Sermonti, Sergio Rubini, Anita Kravos, Franco Branciaroli, Anna Ferzetti, Giacomo Nasta, Fulvio Falzarano, Giulia Anchisi
Origine: Italia, 2017
Distribuzione: Warner
Durata: 97′

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