#TFF34 – Ab Urbe Coacta, di Mauro Ruvolo

Esordio alla regia di Ruvolo, che cerca di raccontare la realtà di una città eternamente contraddittoria attraverso una delle persone che la popolano. Presentato nella sezione TFFdoc/Italiana.doc

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La Roma dei giorni nostri, quella di periferia, quella più sporca e per questo autentica è il centro di Ab Urbe Coacta, esordio alla regia dell’indipendente Mauro Ruvolo, qui in veste anche di sceneggiatore, montatore, produttore e curatore delle musiche. Un one-man project, come lui stesso si definisce, che cerca di raccontare la realtà di una città eternamente contraddittoria attraverso una delle persone – e non personaggio – che la popolano: Mauro Bonanni, detto Barella, un tipico romano sulla sessantina appassionato di gare motociclistiche che gestisce uno sfasciacarrozze.

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Cinema-verità, quindi, che proprio per la sua natura appare caotico e frammentato, senza alcuna impalcatura o sostegno di sicurezza. Eppure in quelle immagini, che scorrono senza un ordine precostituito, confluiscono la vividezza del momento, lo scarto tra presente e passato, i cambiamenti in atto. Vediamo Mauro muoversi in diversi contesti quotidiani: una serata con i suoi amici di sempre, la spesa dal fruttivendolo, a casa in compagnia dei suoi cani, a lavoro con i suoi dipendenti, quasi tutti stranieri. Si tratta di un uomo semplice e genuino che a suo modo fronteggia una realtà che non sente di comprendere appieno, di possedere fino in fondo; è indignato per come alcune cose siano mutate e si rifugia nei ricordi, nelle foto del padre scomparso, o nei legami, il primo “ti voglio bene” detto all’anziana madre.

Al tempo stesso, però, il suo è un percorso di adattamento, un adattamento naturale e quindi coatto, forzato, come suggerisce il titolo, che cioè non esclude nessuno. Mauro si rivela così essere una persona aperta al dialogo, sinceramente interessato alla vita dei suoi dipendenti con i quali non manca di sherzare; vorrebbe capire i motivi che spingono alcuni a lasciare il proprio paese, e spesso la loro famiglia, per venire in Italia, e i motivi invece che spingono altri a tornare alla propria terra d’origine. Interrogativi che prova a dissipare compiendo nel finale quel viaggo in Africa per incontrare un vecchio amico di colore. Perché Mauro si sente attirato da quel mondo che è diventato anche un po’ il suo. Cosa resta allora della Roma d’un tempo? Ab Urbe Coacta non può e non vuole dare una risposta ma preferisce restituire un’immagine complessa che spetta a noi leggere e interpretare.

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