#TFF34 – Jesus, di Fernando Guzzoni

Con il suo Jesus, presentato al TFF34, il regista Fernando Guzzoni costruisce un’opera esplosiva, un carico da novanta degli aspetti più contraddittori e magnetici dell’essere umano. In Concorso.

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L’istinto distruttivo è intrinseco al genere umano. Chi pensa che all’uomo appartenga la sola spinta generatrice commette probabilmente un errore madornale. Il cineasta cileno Fernando Guzzoni sembra avere ben presente come il caos riesca ad impadronirsi delle nostre vite, essendo queste nate nel caos e trovando in esso la loro natura primordiale.

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Jesus è un liceale dedito a qualsiasi dissolutezza, come del resto la maggioranza degli adolescenti. Riflettere sulle proprie azioni vorrebbe dire godersele a metà e ciò concede l’accensione di un motore centrifugo pressoché inarrestabile. Scuola, relazione col padre, perfino la danza che dai titoli di testa sembrerebbe un’ancora ben salda, finiscono su di un piano subordinato. Ma fra le mille bravate commesse, una si rivelerà realmente capace di mettere a repentaglio la sua intera esistenza.

Sebbene gli eventi siano riconducibili al periodo storico corrente, l’opera di Guzzoni è emblematica dell’eterno binomio bene/male. Conserva, inaspettatamente, dei tratti di primitivismo che appartengono a chi è in grado di guardare oltre ciò che la realtà ci para dinnanzi. Senza speculare sul paradigma manicheo, quello cui il regista si riferisce è perlopiù

jesus_san_sebastian-460x310 l’oscillazione, la tentazione, il perenne stato di incompletezza le cui conseguenze possono essere devastanti. Jesus è un esempio perfetto di scacchiera in cui le pedine vivono di stordimento, di un’inerzia dolorosa e infine di un’esplosione che non può non causare feriti, questi ultimi perfino trasversali. Ci incamminiamo, corriamo, sobbalziamo, soffriamo, ricreiamo uno spettro razionale ed emotivo con un’anima, quella del protagonista, persa fra i gli eventi, sospinta quasi senza volontà. Quella di Jesus è una distruzione che si consuma anzitutto dall’interno. Il suo è un corpo in perenne disgregazione, sempre defilato, oscurato, riverberato, un mosaico di non precise dimensioni. Sembra che anche Guzzoni non avesse ben chiaro dove colpire, in che maniera pitturarlo, ammesso e non concesso che fosse un personaggio da poter raffigurare. Solo i luoghi sembrano conservare un pezzo, se non il tutto, di quanto è avvenuto al loro interno: un parco pieno di luci che riflettono l’immediato futuro o la fissità di un’inquadratura lasciata morire, immobilizzata da quello che (non) può essere successo.

I giorni del ragazzo sono veicolati dal nulla, dall’implacabile sete di prendere e rigettare. Il must è vivere come se la morte e la fine del benessere fossero oggetto di una sfida. Ma con chi? L’innocenza è perduta, come dimostra il luna park trascurato sia da Jesus che dai suoi amici. La danza muore al cospetto di un fegato dissipato dall’alcol. Forse resta soltanto dimostrare di essere in grado di colpire. Di essere animali, bestie superiori rispetto ad un’anima più fragile: Gonzalo, il giovane pestato a sangue e lasciato a terra. Forse quella jesussfida è con un dio invisibile che si manifesta nell’amore di suo padre oppure nella liberazione dell’istinto sessuale con il suo migliore amico. Resta il fatto che gli unici momenti in cui il regista sembra catturare un minimo dell’universo di Jesus sono quelli in cui intravede il piacere: una leggera, ma al tempo stesso carichissima spinta vitale cui si attacca con unghie e denti. La sua espiazione si adempirà in un bosco, una fauna che ricorda il giardino degli ulivi dell’omonimo originale. L’abluzione. La stigmate. La cornice raffigurante lui, il padre e un piccolo rosario di legno: una trinità malata profetica dell’epilogo. La potenza di Guzzoni risiede nell’essersi immerso fino al collo in un racconto senza tempo. Un pozzo che comprende le più grandi e spaventose paure dell’umano, quelle che anche nella gioia possono essere latrici di catastrofi. Eppure lo spirito resta intatto, forse perché l’eccessivo realismo non è sempre causato dalla disperazione.

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