#TFF34 – Le fils de Jean, di Philippe Lioret

Dramma familiare in cui Lioret affida al non detto l’essenza più profonda del suo cinema, tanto intimo quanto autentico. Presentato in Festa mobile

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Bisogna sempre seguire le ragioni del cuore, questo i dieci comandamenti non lo dicono, ma glielo dico io.

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Mathieu (Pierre Deladonchamps) è un trentenne divorziato, con un figlio che vede nei weekend e un lavoro modesto di cui non va particolarmente fiero (è nel settore agroalimentare: in pratica si occupa di croccantini per cani). L’arrivo inaspettato di un pacco gli annuncia la morte del padre, che non ha mai conosciuto. Senza esitare, partirà da Parigi alla volta del Canada per partecipare ai funerali e indagare sul suo passato.

Le fils de Jean è liberamente ispirato a un romanzo di Jean-Paul Dubois. In realtà al suo interno è contenuto tutto l’animo di Philippe Lioret, che con umanità semplice e toccante prende sottobraccio i suoi personaggi e li accompagna in un percorso non facile, di verità taciute e dolori sopiti. Non è una caccia al mistero che Lioret cerca, questa passa in secondo piano rispetto allo sviluppo narrativo. Senza eccedere o strabordare segue da vicino il suo dramma familiare, mantenendolo confinato negli argini: il mare di sentimenti si ingrossa, diventa violento; si preannuncia una tempesta; non ci sarà. Allo stesso modo, la comunicazione, cardine d’espressione del genere, non è verbale: sguardi e gesti si fanno traghettatori di pensieri, ma i pensieri non diventano parole, non hanno bisogno di essere pronunciati per trovare una reale consistenza. Perché rendere evidente ciò di cui si è coscienti da tempo? Lioret in fondo lo sa, e affida al non detto, a quei silenzi prolungati eppure così densi di significati, l’essenza più profonda del suo cinema, tanto intimo quanto autentico.

Mathieu e Pierre (Gabriel Arcand), il vecchio amico di suo padre che lo informa dell’accaduto, costituiscono il dittico emotivo della storia. La loro simile natura, entrambi padri, e la (apparente) differenza di caratteri permettono a Lioret di scendere lentamente al di sotto della superficie e sondare alcuni temi: il rapporto genitoriale, il valore di una figura paterna nel crescere un figlio, l’importanza di seguire le ragioni del proprio cuore. E lo fa con un approccio per nulla critico o assolutista. Il suo è un interesse teso a restituire la complessità dell’individuo, che scandisce attraverso momenti quotidiani: la melodia che Pierre suona al pianoforte per le nipoti non rappresenta forse il ritmo interiore delle loro vite, puntellate da passioni, segreti, rabbia e paure? Non servono le parole, sostiene Lioret.

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