#TFF34 – Porto, di Gabe Klinger

Questo piccolo film, che racconta l’incontro fra Jake e Mati, sembra quasi essere ambientato in un epoca lontana, in una costante malinconia di fondo in accordo con la città. In Concorso.

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Jake Kleeman (Anton Yelchin) e Mati Vargnier (Lucie Lucas), s’incontrano per la prima volta nella città di Porto. Americano lui e francese lei, entrambi vivono lì e passano insieme una notte d’amore.
Prodotto da Jim Jarmush, Porto di Gabe Klinger è diviso in tre capitoli: quello di Jake, quello di Mati e quello di Jake e Mati. Il punto di vista di lui, il punto di vista di lei, lui e lei insieme nella notte dell’incontro vista per intero. L’errore semplice di fronte a questo film sarebbe quello di ragionare come se i capitoli fossero compartimenti stagni. Infatti qui il ricordo di Mati riprende e arricchisce quello di Jake; il film va avanti, seguiamo lui che ascolta lei e viceversa, scopriamo sempre qualcosa di più, sulle loro singole vite ma al contempo (e questo è più importante), qualcosa sull’incontro che si svela sempre più nei dettagli. Il ricordo di questo incontro s’incrocia poi al presente, che entrambi vivono separati l’uno dall’altro, perché quella notte è durata solo una notte e poco più. Per Jake il presente appare come una diapositiva del passato, grazie al quattro terzi e a una fotografia sgranata e rarefatta che si sposa meravigliosamente con l’atmosfera portoghese. Il ricordo del passato, invaso dalla luce del cafè e dai sorrisi della bella Mati, invece è chiaro e limpido. Quello è il vero presente di Jake che non l’ha mai scordata. E nel suo presente anche Mati ripensa a Jake, pur avendo scelto alla fine ciò dalla quale voleva scappare, ciò che l’aveva condotta a Jake. Tutto s’intreccia, ogni fatto e accadimento viene raccontato in una strana tessitura.

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porto-03Il regista Gabe Klinger non racconta propriamente una storia d’amore, racconta più che altro la conturbante e perfida assenza di controllo sull’evento amoroso. Ci s’incontra e non c’è più un tempo vero e proprio, tutto si dilata e sebbene tutto vada esattamente come deve andare, non siamo certo noi a far si che questo accada. Sono all’opera forze misteriose. Ed è esattamente ciò che Jake dice a Mati “Io sapevo esattamente cosa avresti detto te, e sapevo esattamente cosa rispondere, e sentivo che nulla poteva andare male. E la cosa più assurda sai qual è? Che è come se non avessimo scelta.

Questo è il punto, racchiuso nelle parole fuori campo di Jake,  mentre con Mati, stesi sul letto si guardano silenziosi, totalmente immersi l’uno nell’altro. E anche se l’amore, è un’ottima analogia per tutto il resto, qui è proprio d’amore che si sta parlando. È vero che siamo sempre più o meno in balia degli eventi, ma quando ci si incontra c’è davvero qualcosa di inevitabile. Intervallato da immagini di Porto e con musiche che spaziano dal pianoforte jazz al cantato blues, questo piccolo film sembra quasi essere ambientato in un epoca lontana, ed è accompagnato da una costante malinconia di fondo, quella degli occhi di Jake ad esempio, disarmato dalla bellezza dirompente di Mati. Ma è la bellezza stessa del momento dell’incontro a trascinare con sé la malinconia che bagna ogni scena: questa malinconia è data dal momento stesso e dalle mille possibilità che si aprono da quel momento, su cui non si ha nessun controllo. Fra queste, certa fra tutte, è la fine del momento stesso. Sembra essere questo ciò su cui Porto vuole ragionare. Sulla bellezza, sulla tristezza e sulla felicità, sulla cieca crudeltà, sulla fine e sui molteplici inizi.

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