#TFF34 – Turn Left Turn Right, di Douglas Seok

L’esordio di Douglas Seok è un’opera intima ed evocativa, una cassa di risonanza di un viaggio interiore da ascoltare riproducendo casualmente i brani. In Concorso

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Avete presente la sensazione che si prova quando si acquista un disco e non si smette più di ascoltarlo? Quando le melodie e le parole assumono un fascino talmente familiare che si vuole stare sempre in loro compagnia? Ecco, Turn Left Turn Right ha per lo spettatore lo stesso effetto: all’inizio straniante, perché nuovo; poi inevitabilmente ti trascina con il suo ritmo pop e nostalgico tra presente, passato e, forse, un futuro.

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Il film è suddiviso in dodici tracce che scandiscono senza un ordine precostituito, la vita della giovane Kanitha, una ventenne cambogiana un po’ scapestrata che si trova a fare diversi lavoretti (puntualmente viene licenziata) per aiutare i genitori e in particolare il padre morente. La madre vorrebbe vederla sistemata, ma la sua mente continua a vagare tra sogni e ricordi adolescenziali.

Con grande abilità Douglas Seok, qui al suo esordio dietro la macchina da presa, mette in scena una storia semplice e commovente in grado di catturare la “realtà” della protagonista e di ciò che la circonda. Accompagnata dal suo fedele motorino, la seguiamo mentre si aggira per le strade di una città moderna (Phnom Penh, capitale della Cambogia) che non sembra però aver subito trasformazioni r

turn-left-turn-right-2016-douglas-seok-02-932x491adicali e dove una larga fascia di persone vive ancora in condizioni di povertà estrema. Contraddizioni, queste, che si riflettono sulla ragazza stessa, costretta a crescere e ad assumersi sempre maggiori responsabilità. L’unica via di fuga possibile è allora l’immaginazione con la quale si astrae dal grigiore quotidiano per proiettarsi in un mondo di visioni: la vediamo ballare in abito da sera tra i ruderi di un tempio abbandonato o danzare sul palco di un teatro insieme a una stella locale del cinema degli anni ’70. La musica diventa quindi espressione di libertà, movimento, di una giovinezza che sta fuggendo e che si tenta di fermare. E veniamo rapiti, quasi ipnotizzati, da quei suoni e da quei passi che sembrano provenire da un video di Björk o da una sequenza di Lynch.

Ma l’empatia più forte e profonda si viene a creare con la memoria, anch’esso luogo astratto eppure così vivido, dove si conservano immagini residuali di felicità. Qui Kanitha rivive i momenti trascorsi col padre, l’unico in grado di capirla veramente e con cui parlare senza finire per forza a litigare. Il regista traduce visivamente queste suggestioni attraverso dissolvenze e sovrimpressioni ambivalenti (le barche dei pescatori e quelle del luna park), scegliendo un punto di vista privilegiato che non può che corrispondere allo sguardo di Kanitha. Turn Left Turn Right non vuole infatti essere uno spaccato sociale della Cambogia attuale, quanto un’opera intima ed evocativa, una cassa di risonanza di un viaggio interiore da ascoltare riproducendo casualmente i brani.

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