#TFF35 – Je ne me souviens de rien, di Diane-Sara Bouzgarrou

Il diario postumo alle malattia mentale di Diane-Sara Barzgarrou, un viaggio di riscoperta di una parte di memoria perduta in un recesso inaccessibile dalla mente. Onde

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Il desiderio di mostrare la violenza che può suscitare un disturbo bipolare in una fase d’espansione maniacale è stata l’urgenza che ha spinto Diane-Sara Bouzgarrou a realizzare Je ne me souviens de rien, presentato nella sezione Onde del Torino Film Festival, una raccolta di frammenti girati in bassa risoluzione ed in formati differenti di ricordi divenuti sfocati nella memoria stessa dell’autrice, un diario postumo, che convive con questa malattia ancora percepita con scarsa cognizione di causa e sottovalutata nelle devastanti conseguenze. Difficoltà spinte ben oltre l’evidente menomazione pischica della vittima del male, che coinvolge l’intera sfera di familiari, amici, amori, una follia in grado di incrinare e distruggere gli affetti, di piegare la perseveranza di un aiuto incapace di ridurne gli effetti con la sola presenza , come erroneamente si potrebbe pensare. La comprensione non fornisce risposte. La consapevolezza idem. La vicinanza è lodevole, ma inefficace. Condividendo pezzi di una vita che va sfaldandosi Diane conta di creare un documento di verità utile a far luce dei problemi di una mente dominata da sprazzi di megalomania, del delirio di uno stato incontrollabile sfuggito ben oltre i limiti di comportamento eccentrico, il flusso allucinatorio di un’erosione dei freni inibitori.

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Le prime avvisaglie del disturbo risalgono al 2010/11 con l’esplosione in Tunisia delle Rivoluzione dei Gelsomini una serie di rivolte avvenute nel contesto della Primavera araba. Il padre di Diane è tunisino, lei non ha mai avuto un forte senso d’appartenza, essendo vissuta prevalentemente in Francia, eppure uno degli avvenimenti per la sua mente ha un effetto deflagrante, è invasa da una strana euforia, l’inizio di un periodo di iperattività, tra momenti creativi, mancanza di sonno, divorata da una frenesia compulsiva. Comincia a girare ogni singola fase della quotidianità, viola la propria intimità, l’occhio di un telefono o di una camera puntato continuamente su un corpo martoriato dalla presenza di un ospite invisibile, posseduto da un nuovo padrone incontentabile. I movimenti diventano convulsi, il girato è una lunga sequenza dai continui cambiamenti d’intento di un cervello deformato alla stregua di una spugna vicina al collasso.

Diane-Sara Bouzgarrou

Diane-Sara Bouzgarrou

Finisce in clinica psichiatrica, passano gli anni, Thomas, il ragazzo che le era accanto ha catalogato tutto. La testa di Diane è colma d’oblio, ha ritrovato faticosamente se stessa e nel risveglio si è accorta di avere un vuoto del passaggio nelle tenebre, una parte divenuta inaccessibile, un fallout mnemonico che le ha lasciato soltanto scorie incomprensibili da decifrare.

Guardare i filmati per lei assumerà il valore di una scoperta, il ritrovamento di una parte offuscata da una perdita di coscienza, materiale vomitato, espulso dolorosamente. Spunta quello che ha tutto l’aspetto di un mondo parallelo, prosciugato di compostezza, di prudenza, un universo di pura utopia, affascinante nell’avere così poca considerazione dei giudizi, l’indifferenza disinibita, la voglia irrefrenabile di lasciare un segno, l’uso di un overboost biologico permanente incosciente dell’usura. Gioielli usati per agghindare un mostro.

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