#TFF36 – The White Crow, di Ralph Fiennes

Un biopic su Rudol’f Nureev grigio, senz’anima, senza nessun volo, che mette dentro trame da spy-story, echi shakesperiani e spreca soprattutto il momento-chiave

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Dopo Charles Dickens in The Invisible Woman, ecco Rudol’f Nureev in The White Crow. Dove stavolta Ralph Fiennes non interpreta il ruolo del protagonista ma lo lascia al ballerino russo Oleg Ivenko. Che mostra i primi passie l’ascesa di  Nureev nel 1961 a Parigi e soffermandosi sull’episodio-chiave del 16 giugno in cui, per sfuggire al rimpatrio, ha chiesto asilo politico a Parigi.

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Scritto da David Hare e ispirato al libro Rudolf Nureyev: the Life di Julie Kavanagh, The White Crow alterna il presente con flashback del passato. Tra i primi passi che lo porteranno poi alla grande prova all’Opéra di Parigi e l’infanzia segnata dall’assenza del padre, la povertà con il letto condiviso con il resto delle sorelle.

Fiennes (che si ritaglia il ruolo del suo insegnante Pushkin) cerca di sfuggire alle forme del biopic tradizionale, ma non ha la forza e probabilmente né la necessaria consapevolezza per farlo. Anzi, svuota il film, tra compiaciute citazioni pittoriche come per mostrare cme l’arte abbia influenzato la vita del ballerino, improbabili

trame da spy-story con il KGB che stava alle costole del protagonista controllando le sue frequentazione e cercando di impedirgli di uscire alcune sere. Eppure forse pensa di farle il contrario. Infarcendo quella parte della sua vita come se si trattasse di una tragedia di Shakespeare, evidente nella scena dell’abbraccio del protagonista bambino appena tornato a casa. Oppure nel litigio al ristorante con l’amica Clara, interpretata da Adèle Exarchopoulos, anche lei piuttosto a disagio in un presunto controllo di un personggio invece più viscerale, quasi come la Adèle di Kechiche.

Un quadro di monotona mediocrità, che per soffermarsi sul volto del protagonista (che somiglia un po’ a Gianni Morandi), anstetizza tutte le scene di danza. Solo tracce del movimento. E la scena. Vista anche da lontano. Delle acrobazie e della sua velocità di Nureev, con cui era stano soprannominato the flying tatar, non c’è neanche l’ombra. E in questo grigiore, Fiennes spreca colpevolmente soprattutto la scena chiave dell’aeroporto. Una sequenza lunga, con una tensione più cercata ma mai ottenuta. Guarda allo splendido Argo di Ben Affleck ma ne è solo la parodia.

 

 

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