#TFF37 – Queen & Slim, di Melina Matsoukas

Qualche momento riuscito in un cinema concettualmente sbagliato. Nel modo di filmare i paesaggi, nell’indignazione razziale e che non sfrutta le potenzialità dei due protagonisti. Festa Mobile

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Per raccontare la storia due fuggitivi bisogna essere meno fighettini. È un cinema  dove conta l’essenza della fuga, la crescente solitudine dei personaggi. Con questo non si vuole negare a Queen & Slim di avere dei momenti riusciti. Ma si sente tutta la ridondanza della scrittura di Lena Waithe (la creatrice di serie tv come Boomerang e Twenties che accumula dettagli per caricare rabbia e indignazione. E che non sembra mai riuscire a trovare una chiusura narrativa nel film perché segue troppe piste. E la regia di Melina Matsoukas questa ridondanza non la controlla ma anzi la amplifica. Il suo ‘Bonnie e Clyde in salsa black’ vuole unire il cinema di genere e quello politico. Ma in questo caso appare decisamente fuori sintonia.

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Un commesso e un’avvocatessa sono al primo appuntamento. Non sembra scattato il colpo di fulmine e il loro incontro potrebbe non avere seguito. Sulla strada di casa vengono fermati per un controllo stradale. Il poliziotto è aggressivo, razzista e ferisce la donna ad una gamba. Slim lo uccide per legittima difesa. Poi i due si danno alla fuga. Ma il video della sparatoria diventa virale.

Melina Matsoukas, qui al primo lungometraggio, si è fatta conoscere per i video musicali girati, tra gli altri, per Beyoncé, Katy Perry e Rihanna e come regista di due episodi della seconda stagione di Master of None e sette di Insecure. Ha guardato al mito dei grandi fuorilegge collegandoli col presente. La fuga viene fatta senza telefoni per non essere rintracciati. E ogni tappa, ogni cambio di macchina sembra un nuovo cammino. Queen & Slim azzecca i due protagonisti Daniel Kaluuya (in un altro incubo dopo quello di Scappa – Get Out di Jordan Peele) e Jodie Turner-Smith (il sergente Kandie della serie The Last Ship) ma non ne sfrutta appieno tutte le potenzialità. Soprattutto dell’attrice, con quello sguardo sempre sospeso tra la paura e il riscatto dal proprio passato. La cineasta prende di petto il cinema di genere, ma lo annacqua con un’illuminazione videoclip proprio per abbellire ogni immagine e con una colonna sonora invadente. Dove il sentimento tragico, dell’identità e della ribellione razziale, sembrano guardare le musiche dei film di Spike Lee e John Singleton. Del cinema on the road invece contamina colpevolmente il paesaggio. Tra tavole calde, stazioni di benzina, autofficine, il suo sguardo attraversa i luoghi quasi bruciandoli. Perché più delle atmosfere sembrano interessargli i personaggi. Anche quelli secondari. Come lo zio di Queen, in cui viene sovraccaricata la sua presenza anche nel poco tempo che sta in scena. Mentre altri ruoli non protagonisti che potevano essere più interessanti, come quello di Chloë Sevigny non convinta ad aiutare i due fuggiaschi, vengono appena abbozzati e poi disintegrati.

È un cinema troppo pieno di sé per essere d’impatto quello di Queen & Slim. Troppo innamorato della propria storia per tralasciare scene in cui esibire le proprie capacità. Di regia e di scrittura. Che spreca malamente due momenti potenzialmente forti come la scena di sesso e della manifestazione in sostegno dei due protagonisti perché la cosa più importante è quella di fare giochini di controcampo per evidenziare la contemporaneità delle azioni. Che entra nel cimitero con un atteggiamento quasi distratto. E sotto questo aspetto la Matsoukas dovrebbe provare a vedere (o rivedere) proprio lo Spike Lee di He Got Game per imparare come si filmano quei luoghi e i personaggi che stanno davanti a una tomba. E la fuga dall’Ohio alla Florida diventa interminabile. In un film di 127 munuti che ne poteva durare 25/30 di meno.

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