"The Conspirator", di Robert Redford
Uno dei risultati più alti di Redford regista, la camera verde di una nazione, quasi la versione al femminile di Fino a prova contraria esempio di un cinema civile ed etico che ritorna direttamente dagli anni '70, di assoluta trasparenza, oggi impossibile da riproporre anche da parte dei più giovani cineasti statunitensi migliori, ma anche struggente melodramma familiare che ritorna sui luoghi di Gente comune
La nascita di una nazione di Robert Redford. In The Conspirator le figure escono dalla Storia, quasi da quelle immagini giallastre, con le luci di Newton Thomas Sigel che rianimano all'improvviso delle vecchie fotografie. Come avveniva nel cinema degli anni ''60/'70, dagli straordinari Gangster Story di Arthur Penn o Dillinger di John Milius o anche da Gang di Robert Altman. Solo apparentemente un affresco storico. Washington, il 1865, l'omicidio di Abramo Lincoln e il processo dove la difesa dell'indiziata Marry Surratt viene presa dall'avvocato Fredrick Aiken, valoroso ex-soldato nordista interpretato dal sempre più convincente James McAvoy. Lo spirito è quello lì degli anni '70, la lezione è quella di Pakula e Pollack – da cui il regista arriva dritto come attore rispettivamente da Tutti gli uomini del Presidente e I tre giorni del Condor – e forse solo Redford, assieme a Clint Eastwood, riesce nel cinema statunitense di oggi a fare ancora un cinema di questo tipo, di assoluta trasparenza, capace di oltrepassare la scrittura (e stavolta lo fa in maniera ancora più netta del precedente Leoni per agnelli) e qui è evidente proprio nei momenti del processo, in un campo-controcampo (vibrante e vitale come quello di Quiz Show altro frammento di 'un'America amara') dove le reazioni contano più dei dialoghi, nel volto dolente di Robin Wright, quasi reincarnazione al femminile proprio del protagonista dell'eastwoodiano Fino a prova contraria. Non è tanto la Storia che ritorna ma sono soprattutti i defunti che ri/arrivano , che ritornano dall'aldilà, quasi un secolo e mezzo dopo, facendo di The Conspirator non solo uno dei risultati più alti di Redford regista, ma trasformandolo forse in una 'camera verde' dove i morti sono ora spettri che ballano. Il flashback irrompe nel presente, disintegra ogni presunto sospetto di teatralità, oltre alla parte iniziale con l'omicidio di Lincoln esemplare nella sua estrema efficacia e sintesi. Ma The Conspirator è anche un salto indietro, agli esordi come cineasta, un melodramma familiare claustrofobico come Gente comune, ancora uno straziante legame madre-figlio senza più contatto fisico, con un finale di toccante dignità in cui poi le foto si riappropriano della Storia. Sembra un cerchio che si chiude e invece è un magnifico inganno.