The Dressmaker – Il diavolo è tornato, di Jocelyn Moorhouse

Affidandosi ad una sempre straordinaria Kate Winslet, la Moorhouse intraprende la via della scorribanda acida e senza freni tra i generi, cucendo insieme il western, il melò, la commedia tinta di nero

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1951. Dungatar. Outback australiano. E’ proprio qui, sulla strada sterrata, circondata dal deserto, dove si affaccia una manciata di vecchie case che, tra legno e polvere, rimandano ad un paese di frontiera del vecchio West, che Myrtle ‘Tilly’ Dunnage, con ben stretta in pugno la sua infallibile Singer e addosso un magnifico abito ispirato a Dior, perché un vestito può ferire quanto una pistola, fa ritorno, venticinque anni dopo, per regolare i conti lasciati in sospeso e, infine, far deflagrare la sua vendetta. Ovviamente su un tappeto di velluto rosso.
Le atmosfere western – con Sergio Leone e Clint Eastwood chiamati in causa – che si respirano non solo nell’ambientazione e nella partitura musicale, ma anche nella presa di posizione morale di Tilly rispetto ad una comunità ipocrita e meschina che vuole ergersi a giudice del mondo, fanno da impalcatura ad uno scenario che, mentre ricerca apertamente la riconoscibilità dell’archetipo, si diverte un mondo a giocare con le possibilità di uno slittamento prospettico, dove ai proiettili si sostituiscono lustrini, boa di struzzo e creazioni di moda. Ma per questo suo ritorno dietro la macchina da presa, a quasi vent’anni di distanza da Segreti, Jocelyn Moorhouse rifugge con beffarda decisione e pirotecnica follia da ogni tentativo di categorizzazione. Così, partendo dalla materia letteraria fornita dall’omonimo romanzo firmato da Rosalie Ham, la Moorhouse, in coppia con il marito P.J. Hogan, co-sceneggiatore del film, sceglie, piuttosto, la via della scorribanda acida e senza freni tra i generi, cucendo insieme, nella piena e gioiosa coscienza della propria eccentricità, il western, appunto, insieme al melò, alla commedia tinta di nero, alle trame gialle e all’effetto deformante degli accenti grotteschi.
The-dressmakerE se anche la ricerca dal gusto kitsch dell’oltraggio e del grottesco sconta un innegabile ritardo sui tempi, inseguendo il taglio tipicamente nineties di film come Le nozze di Muriel o Priscilla – La regina del deserto, quest’ultimo chiamato direttamente in causa dalla presenza, per la verità poco più che accessoria, di Hugo Weaving e il suo sergente con la passione segreta del travestitismo, The Dressmaker si muove con grande mestiere tra secchi capovolgimenti e improvvisi cambi di registro, riuscendo più di una volta, nel gustoso cinismo delle sue trovate, ad armare il racconto di sana cattiveria. Certo la Moorhouse non sempre maneggia a perfezione una materia narrativa sicuramente eccessiva, con la moltiplicazione di deviazioni e sottotrame che girano a vuoto finendo per appesantire e, talvolta, anche sfilacciare il meccanismo del film, ma ha la giusta intuizione di affidarsi completamente ad un’attrice che, film dopo film, si rivela essere sempre più una straordinaria. Con una spalla d’eccezione, l’incontenibile e magnificamente forastica Judie Davis, Kate Winslet diventa l’irresistibile centro di gravità di tutto The Dressmaker. Per farsene un’idea basta guardare la sua entrata in scena durante la partita di football, replicata due volte e per ben due volte sempre della stessa incredibile efficacia.

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Titolo originale: The Dressmaker
Regia: Jocelyn Moorhouse
Interpreti: Kate Winslet, Judy Davis, Liam Hemsworth, Hugo Weaving, Caroline Goodall, Sarah Snook
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 118’
Origine: Australia, 2015

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