The Escape, di Dominic Savage

Il britannico Dominic Savage, con sguardo quasi clinico, osserva da vicino i passi del deterioramento emotivo della sua Gemma Arterton, tracciando un ritratto dolente e “vero” della ricerca del sé

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Il mistero delle relazioni interpersonali costituisce un fardello gravoso, ineludibile, nell’indagine radiografica dell’essere condotta mediante arte, la quale rappresenta un tentativo – sempre lecito – di chiarire i movimenti umani più turbolenti e di farlo, nel caso del cinema, conformemente a quelli dell’immagine stessa.
Si ha l’impressione che il regista britannico Dominic Savage (Love + Hate, 2005) abbia avuto qui l’intenzione di scavare il più a fondo possibile queste onde interiori, di affondare lo sguardo – formatosi in origine nell’habitat documentaristico – laddove è necessaria un’analisi pericolosamente intima per ricavarne, infine, una lezione universale quanto dolorosa, perché vera, sui sentimenti umani.

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Non c’è un attimo di tregua per lo spettatore del claustrofobico mondo costruito in The Escape, angosciato o, peggio, letteralmente asfissiato dalla condizione della giovane casalinga inglese Tara (Gemma Arterton), donna dal fascino prematuramente sfiorito, ridotta alle soglie della depressione e dell’isolamento sociale, nonostante una vita coniugale – all’apparenza – felicemente riuscita. Non c’è tregua all’abbattimento esistenziale di una donna irrealizzata e soffocata dalle responsabilità di moglie e madre, senza comprensione reale da parte del marito (Dominic Cooper); e, tutt’intorno a questo volto spettrale segnato dall’afflizione, non sembra esserci tregua nemmeno nella forma del suo mondo, sempre tinto di blu-grigio, monocorde, piatto anche nelle migliori giornate di sole, anche nella Parigi della fuga desiderante, più bella e avventurosa di sempre.

Lo sguardo – quasi clinico – di Savage rimane incollato al corpo di Arterton per monitorarne ogni fase del percorso di deterioramento emotivo e far sì che si costruisca un’empatia laddove non rimane mai spazio a sufficienza per un ragionevole chiarimento in parole. Chiusa in trappola dentro un circuito che va in loop, Tara incarna l’angoscia della non appartenenza alla propria condizione di vita o lo scollamento lacerante di un’identità priva di realizzazione, dimostrando – per il tramite di questo rapporto coniugale congelato – che la difficoltà d’amarsi risiede nella mancanza di un reale incontro con l’altro.
Savage conduce alle estreme conseguenze tale crisi identitaria e di coppia e, attraverso il blando tentativo di fuga della protagonista verso l’Europa “della libertà”, traccia un ritratto dolente della ricerca del sé e della restituzione della dignità d’essere amati.

 

Titolo originale: id.
Regia: Dominic Savage
Interpreti: Gemma Arterton, Dominic Cooper, Frances Barber, Marthe Keller, Jalil Lespert
Distribuzione: Fil Rouge Media
Durata: 105′
Origine: Gran Bretagna, 2017

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