The Witch, di Robert Eggers

Tra Dreyer, Bergman e Shyamalan, chiuso però in una cinefilia forse troppo compiaciuta dalle tracce mockumentary. Più che apprezzabile, ma per esaltarci, probabilmente, ci serve altro

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Luoghi stregati. Immersi in una luce con i colori appena accennati che si alternano al bianco e nero, in un paesaggio che richiama la chiusura di The Village di Shyamalan e un’attenzione maniacale per i dettagli. È The Witch, esordio nel lungometraggio di Robert Eggers, uno dei casi cinematografici dell’anno, uno dei casi cinematografici dell’anno che ha vinto il Premio per la regia al Sundance e ha incassato oltre 25 milioni di dollari con un budget di 3 e mezzo.

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Ambientato nel New England nel 1630, il film vede protagonista una famiglia di coloni inglesi composta da padre, madre e cinque figli costretta ad abbandonare il loro villaggio e in un luogo isolato nei pressi di una foresta. Lì iniziano ad accadere degli strani avvenimenti: il neonato sparisce, gli animali sembrano impazziti e il raccolto scarseggia. C’è qualcosa di malvagio nei dintorni e la famiglia entra progressivamente in paranoia. La figlia maggiore, Thomasin, inizia ad essere accusata di stregoneria. Lei cerca ij tutti i modi di discolparsi, ma la situazione precipita.

the witchEggers ridisegna le coordinate dell’horror, lo inserisce in una dimensione pittorica (i fiamminghi del ‘600), si serve della luce naturale per alimentare i contrasti e tagliare le ombre, dove si insinuano i germi del sospetto e della follia. Il cineasta – che aveva già diretto i corti Hansel and Gretel (2007) e The Tell-Tale Heart (2008) crea una continua simbiosi tra i personaggi e l’ambiente da cui i protagonisti vengono progressivamente inghiottiti, guarda a Bergman (uno dei più grandi registi horror) nella chiusura oppressiva dello spazio e soprattutto a Dreyer, nel movimento lento e incessante dell’azione e nella costruzione mentale dell’intellorenza e della superstizione che richiama principalmente Dies irae mentre l’obliquità degli squardi, soprattutto di Thominsin, sembra richiamare come modello La passione di Giovanna d’Arco. Ma dietro c’è anche l’ombra molesta di The Blair Witch Project dove la crescente inquietudine si basa anche su quel vuoto che diventa minaccia incombente.

robert eggers the witchUn lavoro perfetto. Tra la fiaba e una natura ostile. E quindi? È questo il modello di horror per cui bisogna perdere la testa? La domanda si è posta anche davanti a un altro ‘caso’ dell’anno, It Follows, e le risposte restano interlocutorie. Non c’è dubbio che The Witch abbia dei momenti forti (lo scontro tra Thomasin e i due gemelli, il momento della preghiera, la sparizione della coppa d’argento), ma l’impressione è che a tratti il film resti intrappolato nella sua cura formale. La destabilizzazione non sembra andare oltre l’immagine – che invece frantumava e squarciava il b/n di La notte dei morti viventi – l’accumulo dei dettagli (l’uovo che si rompe con il pulcino morto, il sangue dalla capra munta) appare troppo studiato e insistito, mentre la soluzione del demone che s’impossessaa degli umani ha troppe tracce del recente mockumentary.

Il cinema di Eggers sembra avere uno sguardo forte e delineato, ma lo proietta tutto su un film che fa fatica ad anticipare l’apparizione, che è chiuso in una cinefilia forse compiaciuta che per degli occhi innovativi possono far gridare al miracolo al contrario di quelli miopi e stanchi con cui probabilmente si è visto The Witch. Che porta a confondere la crescente inquietudine con i tempi morti. Sicuramente è un lavoro più che apprezzabile. Ma per esaltarsi (ci) serve altro. Forse ripassare dalle zone di Babadook o uscire fuori di testa con il cinema di James Wan. Si tratta di scegliere quale filosofia sposare.

Titolo originale: id.

Regia: Robert Eggers

Interpreti: Anya Taylor-Joy, Ralph Ineson, Kate Dickie, Harvey Scrimshaw, Ellie Grainger, Lucas Dawson, Bathsheba Garnett

Distribuzione: Universal

Durata: 92′

Origine: Usa/Gran Bretagna/Canada 2015

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    Un commento

    • Mah… Io ho apprezzato molto questo come Babadook, non è che bisogna per forza sempre essere settari e scegliere di stare da una parte… Il bello del cinema è che sa regalarci – almeno per me è così – emozioni, esperienze e sguardi differenti…