#TOHorror19 – Due esordi: The Invisible Mother e The Night Shifter

L’interesse del vedere questi due film affiancati nella programmazione del festival torinese è nella rappresentazione di una alterità degli istinti genitoriali virati all’impulso violento

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«Siamo molto contenti di essere qui perché il nostro film è un po’ come se fosse stato realizzato in Italia, per via della nostra passione per il giallo e l’horror italiani», hanno affermato Matt Diebler e Jacob Gillman, registi di The Invisible Mother. Presentato in anteprima nazionale nel concorso del 19° TOHorror Film Fest, l’opera prima dei due giovani americani ha colpito per la libertà spiazzante con cui rielabora un immaginario che organizzatori e pubblico del festival conoscono perfettamente. Da Mario Bava a Lucio Fulci, sono evidenti le lezioni che i maestri del terrore sono riusciti a sedimentare nell’animo cinefilo del duo, com’è inequivocabile la fusione di di queste influenze con un più ampio sostrato orrorifico e persino un’estetica pop debitrice del Grindhouse anni Settanta. «Ciò che amiamo di quel cinema – hanno aggiunto – sono soprattutto le acconciature e i vestiti».

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Ed ecco che dietro le porte e fra le strade di una tranquilla cittadina di provincia esplodono mise kitsch e rossetti a forti tinte, tacchi alti ed eccentrici portasigarette. Sembra quasi di vedere un Almodóvar già di maniera, filtrato com’è da uno stile post-tarantiniano prettamente derivativo e totalizzante. Ma The Invisible Mother non è solo citazione, ovviamente, è anche un ottimo prodotto di genere, realizzato interamente con soldi propri e girato nella casa dei due registi che quindi firmano anche trucchi artigianali e scenografie. «È un film fatto interamente a mano», concludono. Inoltre, la fotografia guarda molto al primo Bava a colori, quello de I tre volti della paura (1963) e Sei donne per l’assassino (1964), con quella illuminazione surreale, con tutti quei rossi e quei verdi. Mentre la scrittura ripensa al Fulci spiritico, e in particolare E tu vivrai nel terrore! L’aldilà (1980). Una ghost comedy, si potrebbe dire, dai risvolti grotteschi che cerca di riformulare alcune regole.

E di fantasmi tratta anche il brasiliano Dennison Ramalho in The Night Shifter, originariamente intitolato Morto Não Fala (letteralmente “I morti non parlano”). La trama orbita intorno alla figura di Stênio, il quale lavora nell’obitorio di San Paolo e ha sempre saputo di poter parlare coi cadaveri. Essi, a volte, non sanno di essere deceduti, e quindi egli si ritrova suo malgrado a doverli guidare alla scoperta della verità. Una notte è uno di loro a rivelargli qualcosa che non sa: la moglie Odete lo tradisce. Dopo aver visto coi suoi occhi i due amanti insieme, il protagonista decide di vendicarsi utilizzando informazioni ricevute da altri gangster morti nel quartiere. Insomma, se la prima parte di questo bel esordio (tolto l’elemento sovrannaturale) è più un thriller metropolitano come se ne vedono molti provenienti dal Sudamerica, la seconda prenderà la strada della dramma famigliare a tinte horror che non disdegna la computer graphic e i meccanismi tipici come il jump scare.

L’interesse del vedere questi due film affiancati nella programmazione del festival è stato poi quello di riconoscere in entrambi una rappresentazione a dir poco ambigua della maternità, e con It Comes di Tetsuya Nakashima (che ha aperto l’edizione) una più generale alterità degli istinti genitoriali virati all’impulso violento. L’attualità di un simile discorso può variare di Paese in Paese, ma senza dubbio apre scorci significativi sul panorama rappresentativo dell’identità femminile e della conflittualità di questa con quelle norme sociali ancora portatrici del moralismo patriarcale. Cos’è una madre e cosa ci si aspetta che faccia in condizioni di crisi o pericolo? Come reagire di fronte ad azioni diverse, o persino opposte, rispetto a quelle protettive presupposte da questo ruolo?
I film finora proposti dal concorso del TOHorror, seppure legati da un fil rouge, non danno risposte in merito e nemmeno era loro richiesto. Ciò che conta nel cinema è porsi sempre le domande più utili.

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