Tolo Tolo, di Checco Zalone

Una commedia schizzata che non si ferma davanti a niente, l’eredità della commedia (all’italiana) ma soprattutto un cinema visionario, dove Zalone cresce di film in film.

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I sogni (mostruosamente) proibiti del cinema di Checco Zalone. Potrebbe essere una reincarnazione di Walter Mitty di Danny Kaye e Ben Stiller. Oppure anche dell’impiegato Paolo Coniglio di Paolo Villaggio nel film diretto da Neri Parenti. Ma forse una figura così imprevedibile fa prendere delle nuove direzioni alla commedia  italiana. Qualcuno ha rintracciato in Zalone l’eredità di Alberto Sordi. E la sua ‘fuga dall’Italia’ potrebbe far tornare alla mente quello dell’editore partito per l’Angola alla ricerca del cognato in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968) di Scola. E l’Africa è anche il luogo che rappresenta un diretto collegamento con il precedente Quo vado? (2016), quarta e ultima collaborazione con Gennaro Nunziante prima di diventare anche regista in Tolo Tolo. Quasi un riciclaggio di uno spazio. Per guardare da lontano il nostro paese, cogliendone vizi, imbrogli, razzismo, arte di arrangiarsi. Senza per questo rifarsi dichiaratamente alla stagione della commedia (all’) italiana anche se in questo senso la mano di Paolo Virzì, cosceneggiatore del film con lo stesso Zalone, si può avvertire. Ma con una verve e insieme una lucidità impressionante nel mettere a fuoco l’italiano medio.

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Il suo personaggio, Checco, vive più vite contemporaneamente. Passa da un film all’altro ma forse racconta storie simili. Del resto è sempre stato un sognatore. Lascia Polignano per andare a Milano con il sogno di diventare cantante in Cado dalle nubi, promette al figlio una vacanza da sogno in Sole a catinelle, resiste alle prove più dure (anche al Polo Nord) pur di mantenere il posto fisso in Quo vado?. E già all’inizio di Tolo Tolo (che significa “solo solo”), risponde in polizia che è ‘nato per sognare’. E per farlo deve andare in Africa. Perché in Italia non è compreso. Soprattutto dopo che è stato sommerso dai debiti per il fallimento del suo ristorante di Sushi nel suo paese natale di Spinazzola, nelle Murge pugliesi. Ed è inseguito dai creditori e dai familiari inferociti. In Africa lavora come cameriere e conosce Omar che aspira a diventare regista e ama il cinema italiano. Scoppia però la guerra. Ma Checco non vuole tornare in Italia. E al suo viaggio si uniscono anche Idjaba e il piccolo Doudou.

Dal 2009 in cui ha debuttato al cinema con Cado dalle nubi, Checco Zalone/Luca Medici ha mantenuto la sua esuberanza verbale e fisica oltre a quella caratteristica di essere, suo malgrado, spesso l’elemento disturbante, fuori luogo. Ma il suo cinema si è evoluto, arricchito ed è diventato più complesso. Prende di mira l’immagine che hanno di noi dall’estero (Omar che va in estasi quando parla del Neorealismo italiano) ma non risparmia neanche l’Europa con le sue contraddizioni soprattutto attraverso tutto la parte irresistibile con il reporter di viaggio Alexandre Lemaitre che vuole raccontare il paese sostenuto da un macchinone e ricchi sponsor. Tolo Tolo è una commedia/road-movie schizzata. Meno controllata rispetto a quelle con la regia di Nunziante, ma che ha anche dei voli improvvisi. E se ogni tanto il cinema di Zalone forse non ce la fa ancora a sostenere adeguatamente alcune sequenze come quella dell’arrivo dei miliziani e della guerriglia, mostra al tempo stesso di avere anche coraggio e di volere rischiare senza aver paura di sbagliare. E quindi Tolo Tolo si costruisce e si disintegra seguendo tutto l’impeto di Zalone. Con intuizioni azzeccatissime come la telefonata a Nichi Vendola o il flashback dell’arrivo alla Banca delle Murge nel 2011. Sembra una rapina ma in realtà è uno sbaglio ancora più grosso: il versamento dell’acconto dell’Iva. Ma soprattutto sono gli slanci visionari il suo punto di forza. L’immagine dell’Italia tra Venezia, Firenze e Roma sulle note della canzone di Mino Reitano, i numeri musical, i momenti più intimi in cui insegna a Doudou a nutorare. E infine l’effetto-animazione. Un’altra identità quasi cartoon di Tolo Tolo. In un cinema che sembra quello di un prestigiatore anche se sembra il cammino di un vagabondo come nella canzone di Nicola Di Bari (“Vagabondo vagabondo /Qualche santo mi guiderà/Ho venduto le mie scarpe/Per un miglio di libertà) che interpreta anche lo zio Nicola. Ed è un’altra im/possibile connessione con Virzì con La prima cosa bella. Che mescola le carte e non si ferma davanti a niente. Che può diventare riposseduto, come nel caso in cui Checco gonfia il petto e parla come Mussolini. Che assiste imperterrito e impotente alla nascita di ‘nuovi mostri’ sempre secondo la tradizione della commedia all’italiana come nel caso del compaesano di Spinazzola che diventa Premier. Oppure che gira come incantato. Come il vecchino che si mette a seguire il sushi che gira sul nastro. Una gag quasi da cinema muto. In un film che accumula e investe tutto ciò che incontra sulla sua strada. Ed è un fiume in piena.

 

 

Regia: Checco Zalone (Luca Medici)
Interpreti: Checco Zalone, Souleymane Sylla, Manda Touré, Nassor Said Birya, Alexis Michalik, Arianna Scommegna, Antonella Attili, Gianni D’Addario, Nicola Nocella, Diletta Acquaviva, Maurizio Bousso, Sara Putignano, Barbara Bouchet, Nicola Di Bari
Distribuzione: Medusa
Durata: 90′
Origine: Italia, 2020

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.9

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.1 (51 voti)
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