TORINO 30 – "The Lords of Salem", di Rob Zombie (Rapporto Confidenziale)

TORINO 30 - The Lords of Salem, di Rob Zombie
L'ultimo dei romantici? Non c'è dubbio: Rob Zombie. Certo, dipende dalle sfumature che uno associa al romanticismo, ma la malinconica Bellezza di The Lords of Salem sta soprattutto nel fondere a una psichedelia angosciosa, a un lavorio ossessivo sui simulacri del male, alla scelta precisa di operare su un disagio ipnotico anzichè sul sussulto di paura, nient'altro che il sottotesto di una storia d'amore non compiuta e non detta, struggente e quasi adolescenziale. Love hurts

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TORINO 30 - The Lords of Salem, di Rob ZombieUna malinconia sottile pervade tutti i film di Rob Zombie, anche se non è forse la prima cosa che si nota: The Lords of Salem gronda di malinconia, come se si fosse dilatato in eterno l'esatto momento di Halloween in cui Michael Myers bambino siede sui gradini, mentre sua madre, Sheri Moon, si offre controvoglia sul palco dove dovrà spogliarsi. Love Hurts. Il vento muove le foglie, la vita dei vicini sembra procedere indifferente, ma nulla può essere più come prima – e non dietro, ma accanto, al soprannaturale, giace la naturale desolazione di questo mondo: la dipendenza, la decadenza fisica e psichica, la perdita di controllo, la mente che svanisce, in un sistema nervoso, quello umano, che sembra geneticamente concepito per non resistere alle pressioni esterne. Non a caso lo studioso Francis Matthias (Bruce Davison) invitato a discutere di streghe in un programma radio della stazione locale di Salem, definisce a un certo punto la stregoneria come un "insieme di convinzioni psicotiche e stati deliranti". E non a caso una delle apparizioni-allucinazioni più potenti del film riguarda tre creature che indossano la divisa degli infermieri psichiatrici.

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Non ha la frenesia canzonatoria di La casa dei 1000 corpi, nè la potenza perfetta di The Devil's Rejects.The Lords of Salem è davvero più una lettera d'amore scritta da Rob Zombie a Sheri Moon, come anticipava lui stesso. Heidi è la speaker di un programma radio che fa dell'ironia la sua arma: piano piano questa postmoderna ironia si rivela minuscola e inutile, un po'come il cinema di Rob Zombie, che con grande lucidità, a un baraccone cool e citazionistico preferirà sempre il sincero omaggio, non si illude che affidarsi a mostri o efferatezze torture possa rendere la dimensione malvagia dell'esistenza. Durante lo show, come in molti programmi, le affermazioni drammatiche vengono commentate da suoni ammiccanti, preregistrati. In questo film, stridono fin dall'inizio, con la violenza sottesa nelle parole che evocano il male. Proprio come la risata ci muore in gola quando assistiamo a qualcosa di paradossale ed eccessivo, che in qualche modo, temiamo, ci sta rivelando la verità indigeribile.

TORINO 30 - The Lords of Salem, di Rob ZombieAnche l'uso delle musiche (di John 5 dei White Zombie) riflette questa consapevolezza. Se interviene un brano cult (Venus in Furs) i personaggi sono i primi a dichiararci che è scontato; le variazioni per organo (BWV 768) del sublime Bach e il Requiem di Mozart intervengono, senza bisogno di giustificarsi, come unico suono possibile per le parate, i matrimoni di sangue, l'ascesa spettacolare di Heidi al parto infernale; e intanto, sotto sotto, senza clamore, il tema del film lavora su una quieta tristezza, nei momenti apparentemente più gentili, camerateschi, quando Heidi è ancora capace di ridere e soprattutto quando interagisce con il suo collega Whitey (Jeff Daniel Phillips) uno disposto a salvarla fino alla fine dei tempi, con il quale mantiene sempre una certa distanza tra un legame non detto e la convinzione che la salvezza non sia poi un grande affare.

C'è una classica gravità, uno spirito morale (e non moralista) che sussurra in The Lords of Salem, anche nei suoi momenti WTF! Un'altra costante del cinema di Rob Zombie che affiora prepotentemente è lo smodato amore che il regista nutre per i suoi personaggi, palese sempre, qui fuso con la stima e l'ammirazione che sente per ciascuno degli attori: per il cinema (gli spezzoni di classici che compaiono in tv) e per le loro icone, per la Meg Foster di Essi Vivono e Osterman Weekend soprattutto, alla quale regala il trono di strega popolana, fatta solo di fango e stracci: a lei il compito di inaugurare il fantastico sabba iniziale, corpi vecchi e macilenti, piaghe, rughe, denti a pezzi, di gestire la sequenza clamorosa del rogo.

Rob Zombie citava Ken Russell e il Polanski di Rosemary's Baby: li omaggia l'uno con la strepitosa parata sacerdotale di papi malvagi e masturbatori che covano falli di gelatina, il prete psicotico, il demone con il capro al guinzaglio, il feto crocifisso, la cosa demoniaca dalle mille zampe che viene al mondo, la congrega di apostole nude con le maschere antropomorfe, altri ottimi momenti weird – anche se il modo in cui Zombie filma i corpi nudi è semplicemente mistico, non aggiunge mai carnalità o malizia. Polanski è più presente con tutto il tono in un certo senso dimesso, burocratico della vicenda, ambientata in una nebbia triste, dove un covo oscuro di nuovo figlio degli anni settanta: nell'assedio feroce e graduale di Heidi, nella sua incapacità di proferire parola su quanto sta sentendo, ma già prima, nelle sue passeggiate solitarie, tornano le atmosfere di possessioni mezze umane, mezze demoniache, di un film più recente, The Entity di Sidney J. Furie, dove a fianco della possessione galleggiava sempre un velato senso di colpa della vittima.

TORINO 30 - The Lords of Salem, di Rob ZombieIn qualche momento si ripropongono alcune schegge che potrebbero venire dalle pellicole precedenti, e quindi un po' dello stupore – nel senso di meraviglia – viene perduto (i "filmini di famiglia"che ci mostrano Sheri Moon giocare felice col cane, quasi uno spin-off dei fratelli sanguinari e amorevoli di The Devil's Rejects; ma nel complesso The Lords of Salem è un film entusiasmante e contiene tanti spunti che sarebbe impossibile elencarli tutti.

Rob Zombie utilizza anche, a livello estetico, un immaginario pop-surreale, senza farne contenuto, che la sostanza è altrove (la Katherine di Nicoletta Ceccoli, che porta al guinzaglio dei topini bianchi, ma anche i quadri che si decompongono slabbrandosi e perdendo colore come sangue) gioca con gli stereotipi legati alle scene musicali alle quali è vicino (il Count Gorgann della band black metal norvegese Leviathan the Fleeing Serpent fa delle affermazioni a effetto come chi recita un personaggio, ma poi lo ritroveremo parte attiva nel sabba finale; la musica inviata dalle streghe "si impossessa delle anime" delle donne e le denuda: ma non è questo che fa sempre la musica quando genera estasi?). Si gioca anche con il nostro civile, colto sorridere di cose esoteriche, salvo poi trovarcele incastrate nella dispensa…

Ciò che distrugge Heidi (o la immortala per sempre, a giudicare dalle tante immagini sacerdotali della Sheri Moon perduta) non è tanto la trama ordita dalle streghe, quelle arse vive nel passato e quelle viventi, braccio armato delle prime, insieme complici di una sorellanza a lungo bruciata nelle fiamme dalle autorità, e pertanto sorelle della Heidi donna, sensuale, bella, ma anche nemiche della Heidi felice e infantile che dorme con un cagnone affettuoso, che sta riemergendo dalla droga, che cerca la felicità). Non devono fare granchè le tre spaventose signore (l'efficace Pat Quinn di Shock Treatment e The Rocky Horror Picture Show, Judy Geeson di Paura nella notte, Dee Wallace di Cujo, Sospesi nel tempo, Le colline hanno gli occhi) solo agire con l'aiuto di tè e pasticcini e all'occasione usare una padella come uno schiacciasassi per spappolare la faccia di un uomo. Una bella vecchia domanda: cos'è il male?

TORINO 30 - The Lords of Salem, di Rob ZombieIl Caprone, il Macellaio, Satana, al di là delle ciance dei fondamentalisti religiosi, è l'assenza di gioia, il sorriso che muore sul volto di Heidi, la dipendenza, il "primo appuntamento" che non avrà mai con Whitey. Rob Zombie sembra pensarla come l'Edgar Allan Poe di Twixt: il male è la bellezza, l'innocenza che si distrugge. Per gioco lascia corrompere la sua divina moglie sullo schermo, come una tossica qualunque in un seminterrato di New York, come una ragazza uscita da uno dei primi film di Abel Ferrara, però una ragazza nerd, ancora timida, con il vezzo di sistemarsi gli occhiali. Ma solo per farne una Madonna satanica dagli occhi ciechi, di fronte alla quale si inchinano savi e folli, armoniosi e deformi. Ed anche noi.

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    2 commenti

    • Applausi. Ci vuole una recensione come questa per dare l'idea di tutta la complessità e ambivalenza del cinema di Rob Zombie e del tema ("stregoneria" e femmina, male, tanto per dirne due). Aspetto con ansia l'uscita in sala!

    • (da Rinascita, articolo di Giorgio Ritter) UN FANTASTICO ROMANZO DI MAGIA NERA – Ricordo che anni fa ad Haiti Aubeline Jolicoeur, il giornalista dandy oggi scomparso che Graham Greene rese famoso, con altro nome, nel libro ‘I Commedianti’, mi raccontò che una volta gli americani della Cia e della Nasa tentarono di convincere il dittatore Francois Duvalier a inviare zombies nello spazio! Pensavano che la catalessi cui venivano ridotte alcune persone con piante medicinali e riti vudù, potessero servire a sopravvivere nei lunghi viaggi internazionali Era, quando incontrai Jolicoeur, l’epoca della presidenza Aristide, e anche se i Tontons Macoutes dell’ex dittatore erano ancora attivi, il Paese viveva una nuova rivoluzione.
      E non riferii mai della conversazione con Jolicoeur perché mi chiese di non farlo e perchè non trovai conferme oggettive, ma credetti senza alcun dubbio alla mia fonte, un personaggio a suo modo inquietante ma non ciarlatano. Egli riconosceva a Greene, cui aveva fatto …