TORINO 31 – FRAME 2: Primo Piano

Tanti primi piani si sovrappongono in questo Festival di Torino. In un'ideale e perenne dissolvenza incrociata, dialogando tra loro, da una sala all'altra, nello schermo sempre vergine di tanti occhi assonnati. Ed è difficile non vibrare ai close up insistiti di Greta Gerwig in Frances Ha, aprendo idealmente la strada alla visione di 2 Automnes 3 Hivers. E poi ancora Coppola…

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"Il primo piano rappresenta lo strumento creativo di questo formidabile antropormorfismo visivo" – Béla Balzazs (1945)

Tanti primi piani si sovrappongono in questo Festival di Torino. In un'ideale e perenne dissolvenza incrociata, dialogando tra loro, da una sala all'altra, inconsapevolmente, nello schermo sempre vergine di tanti occhi assonnati. Perchè il ritrovare felicemente intatta una delle origini del cinema – mappare l'umano nei micromoti del volto, isolare l'emozione e l'affezione al di là dell'immagine e al di là del film – può anche significare un inequivocabile segno di vita.

E allora è difficile non vibrare ai close up insistiti di Greta Gerwig in Frances Ha (felice reviviscenza del cinema di Truffaut e Jean Eustache) colti nel traffico di New York o nella sua breve vacanza (guarda caso) a Parigi. Il magnifico film di Noah Baumbach non ha veramente altro soggetto se non il continuo oscillare emotivo della sua protagonista, aprendo idealmente la strada alla visione di 2 Automnes 3 Hivers di Sébastien Betbeder. Il volto, in primo piano, di Vincent Macaigne che ci comunica costantemente le sue gioie e i suoi tormenti, trova il controcampo ideale in quello di Maud Wyler che cerca un conforto in noi spettatori per un'improvvisa tempesta emotiva. Ha scoperto di aspettare un bambino, non ne regge le conseguenze.

E pare una perfetta "dissolvenza incrociata" l'aver proiettato la sera stessa The Rain Peolple di Francis Ford Coppola (retrospettiva New Hollywood), dove i celeberrimi primissimi piani di Shirley Knight in fuga dal marito e dalla sua gravidanza aprivano abissali voragini emotive. Voragini miracolosamente intatte a una visione a 40 anni di distanza. Ecco: il cinema ci sta regalando ancora quel formidabile antromorfismo visivo.

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