Torneranno i prati, di Ermanno Olmi

torneranno i prati
Un racconto dolente che Olmi disperde nella neve con istanti di cinema purissimo, nella dimensione sospesa e sempre incerta del ricordo, però fermamente ancorato al pulviscolo, alla luce fioca delle lampade a petrolio. E insieme un film dal respiro altissimo come la montagna che disegna, un frammento di Storia tra cielo e terra

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Prendendo spunto da La paura di Federico De Roberto, lo stesso racconto che aveva già ispirato l'episodio diretto da Leonardo Di Costanzo de I ponti di Sarajevo, Ermanno Olmi continua con Torneranno i prati il discorso iniziato dieci anni fa da Il mestiere delle armi e Cantando dietro i paraventi: la sobria compostezza del racconto di guerra si astrae in un paesaggio visionario e sospeso, l'immagine si fa cristallo di neve in una messinscena fluttuante e insieme materica, viva e sognante allo stesso tempo. Il miracolo di una presa diretta (la prima volta di Olmi in totale presa diretta) che fa echeggiare i suoni di guerra in uno spazio che sembra infinito, a cui sembrano replicare in apertura e chiusura del film i tocchi della sublime batteria di Roberto Dani nella colonna sonora firmata da Paolo Fresu. 

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La storia è quella di una lunga notte d'inverno in trincea, 1917 leggiamo, tra le stanze del dormitorio nel bunker sepolto da quattro metri di neve e i camminamenti da spalare per poter fare arrivare il rancio; ed è una storia di soldati sotto un chiaro di luna che pare irreale e magico come un albero spoglio che all'improvviso riluce di rami dorati, missive che giungono al fronte e le cui risposte questi uomini invece dettano all'obiettivo della cinepresa, affidando ad uno sguardo in camera la storia della propria esistenza di minatori, di uomini traditi, di tenentini di 19 anni. Una notte tra bombe, morti, deliri febbricitanti e sacrifici per ordini ottusi e paradossali portati dal maggiore Claudio Santamaria, un racconto dolente che Olmi disperde in cielo con istanti e composizioni di cinema purissimo, girato in una dimensione che sembra quella sempre incerta del ricordo, però fermamente ancorato al pulviscolo, al colore delle assi di legno del ricovero, alla luce fioca delle lampade a petrolio.

Torneranno i prati assomiglia così inaspettatamente quasi ai film di un anziano maestro del cinema giapponese, sembra avere la stessa pasta di un episodio di Sogni di Kurosawa, o di uno degli ultimi Wakamatsu, dei recenti capolavori di Yamada: e insieme, nell'istante in cui il conducente di mulo Andrea Di Maria canta Tu ca nun chiagne stagliandosi in piedi al centro della trincea, e fermando così solo con la voce per un attimo il conflitto e il suono dei colpi di fucile e di mortaio, raggiunge le vette immaginifiche di War Horse di Spielberg e della sua guerra da illustrazione d'epoca.

Nei primi piani disperati di questi personaggi scorgi quasi i ritratti del popolo nelle opere del cinema russo degli anni '20, rarefatti in un film a raggio ristretto, girato come non si fa più, in pellicola da Fabio Olmi e Maurizio Zaccaro sui luoghi reali della Prima Guerra Mondiale, tra Vicenza, Cima Larici e Val Giardini, che si allontana di pochissimo dall'ambientazione nella casamatta (la sequenza emblematica e quasi kafkiana dei dieci passi fatali per raggiungere il rudere sotto la neve).
E insieme un film dal respiro altissimo come la montagna che disegna e racconta, che vive in questo frammento di Storia tra cielo e terra, e dona a entrambe le condizioni, appunto quella celeste e quella terrena, una eco immensa di significati e di suggestioni, ben al di là della sua primaria esigenza commemorativa, non a caso da subito intima, privata, di questa guerra raccontata al regista bambino dal padre, che vi era stato soldato.

 

Regia: Ermanno Olmi
Interpreti: Claudio Santamaria, Alessandro Sperduti, Francesco Formichetti, Andrea De Maria, Camillo Grassi, Niccolò Senni, Domenico Benetti, Andrea Benetti
Origine: Italia, 2014
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 80' 

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