Toxic Jungle, di Gianfranco Quattrini

Toxic Jungle ha il merito di non ammantare di sola nostalgia vintage tutto il percorso del suo protagonista, ma nello stesso tempo fa un po’ fatica a trovare quelle epifanie visive che cerca

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Un road movie nel cuore dell’amazzonia alla ricerca dell’Ayahuasca, una pianta sacra, che con l’aiuto di uno sciamano possa cancellare i limiti tra passato e presente, realtà e immaginazione, colpa e perdono. Chi compie questo viaggio? Diamond Santoro è un anziano signore argentino con un glorioso passato: alla fine degli anni ’60 fondò con suo fratello Nicky la band “Hermanos Santoro”, la punta di diamante del rock psichedelico argentino, i Doors sudamericani, una musica che come tutte le esperienze liminali era destinata a durare poco nella storia (la morte misteriosa di Nicky disintegra il gruppo e fa piombare Diamond in un gorgo di sensi di colpa) ma un’eternità nel Mito popolare (quelle canzoni, nel presente, ancora non hanno perso il loro portato sovversivo). Il film del giovane regista peruviano Gianfranco Quattrini racconta tutto questo: Diamond vive nel presente il viaggio di purificazione verso Iquitos (un viaggio programmato da Nicky 40 anni prima), ma i flash di memoria lo perseguitano. L’infanzia e i primi approcci dei due fratelli con la chitarra, poi gli esordi felici all’insegna della libertà sessuale, la fama, la contestazione, la musica psichedelica sino ai furiosi litigi e alla morte…

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Un film ambizioso perché vuole fotografare un’epoca e il suo portato iconico e sentimentale, confrontandolo però con il nostro presente dove di quel sogno è rimasta solo la banale strumentalizzazione. Diamond si oppone a tutto questo, non vuole cantare, perché la musica deve nascere dal ritorno di suo fratello, la musica deve essere cinema che ricorda, la musica deve essere “redenzione”. E Quattrini dimostra senz’altro una buona maturità registica che lo fa agevolmente passare dal passato al presente, dalle visioni alla realtà, aderendo totalmente al percorso del suo vecchio e stanco protagonista. Un buon film, insomma. Ma anche un film che purtroppo non diventa mai esperienza straordinaria, perché paradossalmente c’è troppa poca perdita per un percorso di perdita e rinascita, troppa poca anarchia visiva e sentimentale in un film che vorrebbe sintetizzare l’anarchia musicale e rivoluzionaria, troppo controllo della materia narrativa per un film che tenta di sondare gli abissi insondabili della psiche di una persona. Toxic Jungle ha sicuramente il merito di non ammantare di sola nostalgia vintage tutto il percorso del suo protagonista, ma nello stesso tempo fa decisamente fatica a trovare quelle epifanie visive e cinematografiche che il vecchio Diamond cerca nel percorso verso l’Ayahuasca. La musica della Planta Madre la si sente solo a metà.

Titolo originale: Planta Madre
Regia: Gianfranco Quattrini
Interpreti: Robertino Granados, Manuel Fanego, Emiliano Carrazone, Camila Perissè, Rafael Ferro
Distribuzione: Istituto Luce-Cinecittà
Durata: 87′
Origine: Argentina, Perù, Italia 2014

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