Trieste Film Festival 20 – Il cinema e Joyce (seconda parte)

Proseguendo l’itinerario joyciano propostoci dal Trieste Film Festival si riscoprono gli stretti legami con il cinema che lo scrittore irlandese ha avuto, ma soprattutto l’influenza della sua scrittura nella elaborazione di percorsi cinematografici.

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A comporre il palinsesto della retrospettiva dedicata dal Trieste Film Festival ai film tratti dalle opere di James Joyce e che ha avuto il merito di guardare alla complessità all’opera dello scrittore anche un raro film di Mary Ellen Bute (1906 – 1983) Passages from Finnegans wake. Girato in due anni – dal 1963 al 1965 – da questa eclettica artista di Huston, che si è occupata di animazione astratta e del rapporto tra la musica e la narrazione, centrando poi il suo interesse sulla luce in movimento. Dopo i suoi esperimenti di animazione di oggetti inanimati, il suo film sul ponderoso ultimo libro di Joyce è tratto da una riduzione teatrale de romanzo di Mary Manning del 1939. Vera e propria rarità cinematografica, quindi, la cui realizzazione ha il sapore di una sfida. Opera tragicomica moderna e monumentale nella sua elaborazione che prende le mosse dalla filosofia di Giovan Battista Vico, nel Finnegans wake, sono state rintracciate oltre sessanta lingue tra cui alcuni dialetti, racconta della veglia funebre di Finnegan che cadendo dalle scale è creduto morto, ma durante la notte egli rivive la storia universale attraverso la metamorfosi della moglie e dei due figli. Il film della Bute è disunito e discontinuo, ma conserva il pregio di tenere sempre l’opera di riferimento in primo piano, non trascurandone l’architettura complessiva e il suo senso ultimo. Durante i novanta minuti di durata la regista ha utilizzato ogni possibile soluzione visiva e di manipolazione dell’immagine (slow motion, fermo immagine, brani televisivi) per raggiungere un risultato di sicuro interesse e nel quale è stata recuperata con l’uso di didascalie la complessa scrittura del testo originale. La Bute si è scelta di sicuro una brutta gatta da pelare, ma ha avuto quanto meno la fantasia di architettare una struttura che riflette la variegata e complessa forma dell’opera attraverso il cinema. Compito non semplice che però, proprio grazie alla magmatica materia d’origine, lascia ampio spazio all’invenzione che in opere come l’Ulisse trova minore spazio di applicazione perché più strutturate da una trama che, per quanto pretestuosa ed evanescente, è pur sempre presente e ne condiziona la trasposizione.

Non si immagina che Roberto Rossellini  abbia potuto ispirarsi all’autore irlandese per il suo Viaggio in Italia, eppure l’occasione triestina, curata per l’aspetto cinematografico da Elisabetta D’Erme ha permesso di riscoprire il capolavoro del regista attraverso questa nuova prospettiva analizzata da Kevin Barry al convegno sullo scrittore.

L’ultimo racconto di Gente di Dublino è The dead e nel suo finale Gretta, la protagonista confessa al marito Daniel, dopo i festeggiamenti del periodo natalizio e dopo avere sentito una canzone, che un giorno un ragazzo innamorato di lei morì per averla corteggiata al freddo sotto la sua finestra. Nel film di Rossellini i due protagonisti, interpretati da Ingrid Bergman e George Sanders si chiamano Joyce e, durante una pausa, sotto il sole del golfo di Napoli lei confesserà al marito la stessa vicenda del racconto di Joyce.

The dead (1987) di John Huston e Nora (2000) di Pat Murphy sono altri due dei film che necessariamente hanno fatto parte del programma. Il primo, che è l’ultimo film del versatile autore americano, resta fedele al racconto e per diventare un omaggio incondizionato allo scrittore, attraverso la sua fedele trascrizione, un atto finale per Huston che aveva in mente questo film da molti anni e che fu girato nella sua residenza californiana quando già malato seguiva però con attenzione tutti i movimenti sul set. Il secondo racconta gli anni triestini dello scrittore e della sua compagna ed è tratto dal libro omonimo di Brenda Maddox. Anni travagliati e difficili, ma ricchi di futuri sviluppi.

Retrospettiva quindi anomala e stimolante che ha permesso di verificare e misurare la capacità del cinema nel momento del suo confronto con la letteratura ed eventualmente anche a rinfocolare l’eterna polemica sulla trasposizione della scrittura, un tema che sicuramente avrebbe appassionato anche James Joyce.

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