Trieste Film Festival 28 – Incontro con Covi/Frimmel, Colla/Barela e Claudio Casazza

In occasione degli incontri promossi dal festival, gli autori di Mister Universo, Sette giorni e Un altro me raccontano i loro film al pubblico del Caffé San Marco di Trieste

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Tra i protagonisti del Trieste Film Festival 2017 abbiamo incontrato tre sguardi italiani: la coproduzione Mr Universo di Tizza Covi e Rainer Frimmel, Sette giorni con l’attrice Alessia Barela e il regista Rolando Colla e Un altro me di Claudio Casazza.

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Covi e Frimmel nella loro pellicola Mr Universo (Concorso Lungometraggi) a cavallo tra documentario e finzione tengono subito a precisare: «quello che ci interessa principalmente è la proposta documentaria, noi aggiungiamo un filo di finzione al solo fine di trasmettere maggior conoscenza nel pubblico degli aspetti di personaggi che più ci piacciono». L’idea che accende i riflettori sul mondo circense diventa per gli autori un veicolo narrativo che esplora un concetto attuale di più ampio respiro nel ricordare un mondo fatto di tradizioni che, a piccole dosi, sta lentamente perdendosi. Stessa cosa accade al mezzo cinematografico sempre più mirato al digitale, di cui, Covi e Frimmel, preferiscono non abusare ricorrendo alla pellicola come «immagine più umana».
Un cinema che rievoca le tradizioni nella sua stessa fattispecie, quasi uno sperimentale neorealismo che si profila ancora nella collaborazione preferenziale con attori non professionisti: «Davanti alla cinepresa non devono fare nulla di più di quello che fanno nella vita, tutto ciò che ci presentano è reale. Passiamo molto tempo con loro e la sceneggiatura, che scriviamo quasi come un romanzo, la presentiamo agli attori restando fedeli alle loro vite il più possibile».
Realismo, tradizioni, umanità. Elementi che caratterizzano i due autori e che ripropongono con veemenza e lucidità: «Oggi vediamo così tanta brutalità, c’è il bisogno che qualcuno racconti dei rapporti e delle relazioni umane e che queste tornino di nuovo nel cinema».

Per Sette giorni (Premio Corso Salani) il primo a prendere la parola è il regista Rolando Colla che ci espone le sue considerazioni nell’approccio con gli attori: «Quando devo trovare attori per un film cerco di ingaggiare quelli con cui ho già lavorato, come nel caso di Alessia. Se posso non faccio nessun casting, propongo la mia storia agli attori che amo e spero accettino». Fondamentale, ci spiega, è il feeling che deve crearsi sul set, importante ed imprescindibile soprattutto per le scene sentimentali ma vero punto cardine anche al fine di una maggiore sperimentazione: «Lavorare con un’attrice che già conosco significa poter andare ancora più a fondo, cosa che accade solo nell’instaurarsi di un buon rapporto di fiducia».
La sceneggiatura nel lavoro di Colla è una base chiave con ampio margine che può dilatarsi sul set, lasciando molto campo all’improvvisazione pur nel rispetto di una storia e un copione prestabiliti. E’ l’attrice protagonista Alessia Barela a confermarlo: «Come Rolando anche per me il rapporto di fiducia nella lavorazione di un film è importante, altrettanto lo è la libertà data nelle prove e l’improvvisazione che devono comunque mantenersi nell’ambito di un testo scritto di fondo».

L’ultimo conterraneo ad esporre il suo lavoro è Claudio Casazza con il suo controverso Un altro me. La pellicola, anch’essa facente parte della rassegna Premio Corso Salani, ci porta nel carcere di Bollate alle testimonianze dei detenuti colpevoli di crimini sessuali. Casazza spiega che, in una precedente visita al carcere, ha trovato interesse per l’incredibile portata di materiale umano in esso contenuta, dando vita ad un lavoro che non ha precedenti nel genere.
«Girare in carcere è molto difficile, mi è stato fondamentale l’aiuto di criminologi e psicologi. Il ‘fuori-fuoco’ che ho utilizzato per ogni detenuto era assolutamente necessario, sia per rispetto alle vittime che per non creare nel pubblico una possibile iconografia del ‘mostro’ e, soprattutto, ne ho usufruito in modo immediato». Infatti, al fine di creare un rapporto di fiducia concreto e attuabile, Casazza, oltre all’auto-focus in presa diretta, si è addentrato nel penitenziario con il palese intento di non essere messo a conoscenza dei peculiari crimini dei suoi protagonisti: «Sono entrato senza conoscere i reati specifici di ogni detenuto così da non avere pregiudizi mentre lavoravo, elementi che ho scoperto in divenire. Anche questo è servito a creare un rapporto di fiducia con loro, sapevano che non sarei partito prevenuto».
Il film, che sarà distribuito nelle sale in aprile, ha un particolare intento che si valorizza ed esprime in elementi che vanno oltre la testimonianza, in un concreto dialogo aperto con chi assiste alla visione, mirando principalmente ad un rapporto comunicativo con il pubblico.

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