TUTTE LE ANIME DEL MIO CORPO. Intervista a Erika Rossi

Il nuovo film della documentarista triestina ne conferma le abilità sull’uso del repertorio per riempire i buchi della memoria. Presentazione al Cinema Ariston di Trieste lunedì 3 luglio alle h 19

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“Bisogna mettersi nella posizione di poter essere raggiunti, e sicuramente oggi ci puoi riuscire anche grazie alla possibilità di essere leggeri e veloci sul comparto tecnico”. Tutte le anime del mio corpo è una sfida inedita all’interno della produzione documentaristica di Erika Rossi: l’autrice triestina si allontana dalle tematiche basagliane di Trieste racconta Basaglia e Il viaggio di Marco Cavallo per introdursi nella quotidianità di Lorena Fornasir, la psicologa clinica figlia di Maria Antonietta Moro, partigiana sul fronte jugoslavo e italiano che ha tenuto per tutta la vita nascosto il suo diario di guerra, redatto tra il 1943 e il 1945. Lorena scova lo scritto solo dopo la morte della madre, nel 2009, e apprende così una verità totalmente inaspettata e insospettata sul genitore che credeva erroneamente di conoscere.
gif critica 2Tutte le anime del mio corpo ruota intorno al quesito a cui la donna e la sua famiglia non sanno dare risposta (perché Maria Antonietta non ha mai raccontato nulla del suo passato nella Resistenza?), mentre pedina Lorena nelle attività di presentazione della versione pubblicata nel 2014 del diario della madre, e mentre la protagonista fa rivivere in qualche modo lo spirito militante della mamma nelle sue attività umanitarie e nel sociale. “Il racconto del reale è davvero alla portata di tutti”, spiega Erika Rossi. “A conferma, il numero dei documentari prodotti in Italia è in aumento in maniera esponenziale, con la difficoltà concreta che tutti questi lavori vengano poi effettivamente visti, abbiano una vita. Mai come oggi anche una persona da sola può approcciarsi ad un contesto e riuscire a portare a casa una buona documentazione, con il linguaggio non invasivo che per me dev’essere proprio del documentario”.
E però stavolta, a differenza dei lavori precedenti, la non invasività di Erika Rossi sembra non riuscire mai a scalfire davvero una certa diffidenza e il coriaceo istinto protettivo con cui Fornasir e il coniuge, il filosofo Gian Andrea Franchi, si approcciano all’obiettivo della regista. Se per forza di cose è allora costretto a rimanere a metà strada tutto lo scavo nell’inquietudine che nei protagonisti causa questo spettro incompreso della madre eroina, dall’altro punto di vista Erika Rossi si conferma abilissima manipolatrice del repertorio, dell’immagine d’archivio, del found footage, qui rimesso in circolo insieme al sodale montatore Beppe Leonetti con risultati straordinari, a metà tra l’immagine sempre dubbia di Dal ritorno, e l’inevitabile paragone con la prima Alina Marazzi.

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Parlaci un po’ di questa attenzione per la memoria, il passato e l’archivio, la traccia, il diario, il repertorio anche ricostruito…

E’ vero, amo utilizzare il materiale di repertorio, penso che sia una risorsa incredibile, e sempre di maggiore accessibilità, grazie agli archivi online. Sia in Trieste racconta Basaglia che in Tutte le anime del mio corpo il tentativo è quello di usare il repertorio in maniera il più possibile decontestualizzata, la sfida affascinante di costruire un discorso nuovo, inedito, mantenendo il sapore della fonte, del formato, dell’appartenenza storica. Associo piccolissimi frammenti di archivio in nuovi montaggi: in Trieste racconta Basaglia anche le sequenze ricostruite ex novo sono trattate e filtrate in modo da sembrare immagini d’epoca, di repertorio, mi pareva una scelta naturale per mantenere la coerenza e l’atmosfera. Il linguaggio ibrido per me è il linguaggio naturale e ovvio del cinema, la manipolazione va data per scontata una volta che guardi attraverso un obiettivo ottico, e l’osservazione porta comunque con sé una parte di manipolazione. Ho sempre amato il cinema del reale ma credo anche che se il racconto lo richieda si possa inserire qualche inganno.

Rimane intatta questa urgenza che attraversa i tuoi lavori, un’urgenza di raccontare queste storie, di registrare le fasi di lotte e battaglie il cui valore è importante che resti testimoniato attraverso i decenni…

L’urgenza è prima di tutto quella di assumere un punto di vista “altro” nei confronti diErika-Rossi queste storie, di questi contesti. Mentre giravo il primo documentario, l’urgenza era raccontare questa storia dal punto di vista della città, quella Trieste che ha vissuto nel quotidiano una situazione così eccezionale e magnifica, e tutta la poesia che si portava dietro. E’ stato bello allora poi ne Il viaggio di Marco Cavallo poter partecipare in prima persona a questa battaglia, che è quella che in Trieste racconta Basaglia avevo così a cuore di rievocare. Questa volta viaggiare insieme a Marco Cavallo, questa enorme statua di cartapesta costruita dagli internati del manicomio di Trieste nel 1973 e che nel 2013 abbiamo portato in visita per tutti gli OPG del Paese, è stato un po’ prendere parte alla lotta proprio nel momento in cui sta accadendo, e per me era importante. Tornando al discorso sull’urgenza, in quel caso sentivamo come primaria quella di comunicare l’atmosfera di abbandono e di vuoto che abbiamo visto in questi posti: una sospensione di vite, di storie.

Lorenza Fornasir è una psicologa, e anche se in apparenza stavolta ti sei tenuta lontana dalle storie della tua Trieste, ritorna comunque l’approccio analitico che accomuna le tue opere. Che cosa ti lega così tanto a queste pratiche? Quanto ha a che vedere, ancora, con l’esperienza basagliana della tua città?

Amo la figura di Franco Basaglia perché diceva quello che diceva e faceva quello che faceva senza nascondersi dietro al tecnicismo medico, dietro ad una scienza che scienza non è, ma curava e guardava le persone per quello che sono. La stessa cosa si cerca di fare qui a Trieste: mentre crescevo mi sono resa conto che Trieste si porta addosso questa eredità, qui si è capaci di guardare il matto per strada in modo diverso rispetto a tanti altri luoghi. Perché qualcuno ce lo ha insegnato, perché ce lo abbiamo nel dna, siamo figli di quel momento lì e quindi di Basaglia. Lui ha detto e scritto tanto ma alla fine, al di là del discorso sul cambio di prospettiva, sull’importanza del negare la violenza, di ripensare i tempi e modi della cura, quello che rimane è questa lezione a guardarsi l’un l’altro nel rispetto delle diversità e delle storie di ognuno di noi.

Passato in selezione ufficiale quest’anno a Visions du Réel, Tutte le anime del mio corpo arriva allo Shorts International Film Fest di Trieste lunedì prossimo, 3 luglio, con una proiezione evento speciale al Cinema Ariston alle h 19, alla presenza dell’autrice e di Lorena Fornasir.

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