“Tutti contro Tutti”, di Rolando Ravello

tutti contro tutti
Il cast, soprattutto nei casi di Marco Giallini e Stefano Altieri, ha gioco davvero facile con il copione, che rinnova però la tendenza a un respiro da piccolo schermo. La messinscena troppo timida che non sembra voler mai affondare davvero il colpo sembra sempre nascondere una quinta da studio

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Nel passaggio dal palco teatrale, dove si chiamava “Agostino”, al grande schermo, la storia raccontata da Ravello in questo suo esordio finisce per mettere in mostra un evidente problema di spazi (anche connaturato d’altronde alla sinossi del film), che rinnova la tendenza a un respiro da piccolo schermo che aleggiava già su un precedente script di Massimiliano Bruno, Nessuno mi può giudicare (quasi coevo tra l’altro alle prime stesure di Tutti contro Tutti, di cui è a conti fatti una specie di corollario – diremmo di nuova stagione, prendendo a prestito il linguaggio della serialità catodica).
Bruno supererà poi questa impasse con il riuscitissimo Viva l’Italia, ed è la sua penna a rivelarsi subito riconoscibile nell’oliatissimo rimpallo dei dialoghi e delle battute cordialmente coatte. Il cast, soprattutto nei casi di Marco Giallini e Stefano Altieri, ha gioco davvero facile con il copione, ma la messinscena troppo timida che non sembra voler mai affondare davvero il colpo (il letterale qualunquismo del titolo è d'altra parte un'ennesima lampante descrizione dello stato di autofraintendimento in cui versa il cinema italiano) acuisce la sensazione di stare assistendo alla versione di area zingarettiana di un “film di Pippo Franco e Bombolo”, come ha magnificamente chiosato Marco Giusti in conferenza stampa.

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La galleria di personaggi fortemente tipicizzati e legati a un’idea di umanità variopinta e alla fine quasi sempre benevola, incanalata nell’angusta situazione di dover condividere l’esistenza nella ristretta metratura di un pianerottolo di condominio, ci riporta dunque alla sensazione di sketch dalla conformazione – formalmente e strutturalmente – televisiva, che già colpiva tutta la sezione “popolana” di Nessuno mi può giudicare. Come se, mancando ancora una volta lo sfondo, o avendolo ridotto a un bozzettismo che il fiato corto lo prevede già quando disegna il proprio stesso risicato spazio d’azione, l’unica soluzione che si staglia all’orizzonte diventi quella di uno svilimento al contrario, ovvero di segno positivo, del dettaglio, della caratterizzazione, che sembra sempre nascondere una quinta da studio, un occhio di bue che illumini di volta in volta l’assolo dei diversi attori, e dei diversi personaggi.
E’ probabilmente una carenza soprattutto registica (quasi perdonabile all'attore che tenta il salto dall'altra parte della mdp), nonostante i limiti autoimposti della scrittura: c’è da chiedersi ad esempio che film avrebbe tirato fuori da un identico copione un occhio sempre più solidamente e esclusivamente cinematografico, seppur spesso affascinato dalle stesso grottesco un po’ picaresco che abita lo script di Ravello e Bruno, come quello, per dire, di Paolo Virzì.

Regia: Rolando Ravello
Interpreti: Rolando Ravello, Kasia Smutniak, Marco Giallini, Stefano Altieri, Lorenza Indovina, Valentina Sperlì, Ivano De Matteo
Origine: Italia, 2013
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 101'

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