Tutto finisce all’alba, di Max Ophüls

Apoteosi di quella tensione cristallina del regista, quella distanza/interferenza tra la maschera e il volto, tra il corpo e il ruolo, tra la vita e il suo riflesso. In sala da oggi per Lab 80 Film

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Per il progetto di distribuzione classici Happy Returns! di Lab 80 Film, la rassegna intitolata Max Ophüls, la giostra delle passioni, porta nei cinema italiani, da lunedì 3 luglio, tre film in versione restaurata digitale in 2K: Tutto finisce all’alba (Sans lendemain) del 1939, Da Mayerling a Sarajevo (De Mayerling à Sarajevo) del 1940 e Il piacere (Le plaisir) del 1952. Le parole del distributore Angelo Signorelli, Presidente Lab 80 Film: “Dopo i classici del cinema americano, con una protagonista di raro appeal come Gene Tierney e film come Lettera a tre mogli e Infedelmente tua, Lab 80 film si sposta dall’America in Europa, riproponendo tre regie di un maestro del cinema del Novecento. Storie di passioni, di amori, di tradimenti, di destini che hanno segnato la storia del secolo breve. Ophuls, profondamente influenzato dalla cultura mitteleuropea, mette in scena con eleganza e ironia, sottile causticità e tocchi di malinconia, l’eterna commedia sentimentale che donne e uomini recitano sul palcoscenico della vita. Grande cinema, grande scrittura, grandi interpreti. E il piacere di raccontare, come solo la grande letteratura sa fare. Una festa per lo sguardo, perché di film così non se ne vedono più”. Tutto finisce all’alba è ambientato nella Parigi degli anni Trenta e dedicato alla complicata situazione sentimentale ed esistenziale della giovane Evelyne, rimasta vedova e senza risorse. Costretta a lavorare come entraîneuse in un locale notturno di Montmartre per mantenere sé e il figlio, ritrova un vecchio amore ma non ha il coraggio di ammettere la propria condizione: si affanna per mantenere le sembianze di una vita borghese ma si troverà di fronte ad una scelta definitiva. Una fascinazione, quella di Ophuls per il mondo dei protettori e delle “ragazze”, che trova nella storia di Evelyne lo spazio per esprimersi: il film, come ha affermato lo stesso regista, è stato censurato in diversi modi ed epoche.

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tutto finisce all'albaÈ l’apoteosi di quella tensione cristallina del regista, quella distanza/interferenza tra la maschera e il volto, tra il corpo e il ruolo, tra la vita e il suo riflesso che feconderà poi tutto il suo cinema. Ma c’è subito un punto di rottura: la morte. Esiste una maschera per la morte? Come filmare la dimensione ontologica della morte dentro una rappresentazione che mette in scena il mascheramento della vita e l’esistenza come spettacolo? Filmare l’assenza di una assenza, il rumore che rende impossibile la comunicazione. È il mélo la variante incandescente di quell’equazione amore-morte che Ophüls perseguirà: si capisce così l’assenza di qualsiasi morale consolatoria e il rifiuto dell’happy end. L’amore è filmato nel contesto della perdita, dell’unione impossibile: perdita significa morte. L’amore non è di questa vita, o meglio, non è mai esperienza vissuta, piuttosto è incanto sulla soglia dell’onirico, viaggio immaginario in una luce bianca esplicitamente fiabesca, che contrasta con l’egemonia a un tempo euforica e funebre della notte. L’amore è l’evasione sulle strade innevate di Evelyne e Georges. Ophüls conosce le regole del je(u), del gioco dell’io, le regole del mélo, dalla perversione narrativa di una sofferenza che nasce non dalla colpa quanto dalla sua paradossale assenza (Evelyne, come quasi tutte le donne ophulsiane, è una vitta sacrificale e a tal proposito è da leggere “Impersonal Shopper” di Massimo Causo sull’ultimo numero Magazine) alla funzione strutturante della musica. Evelyne è animata e agitata da questa freudiana “nevrosi del destino”, una sorta di certezza preventiva di una sorte fatale. La pressione della morte è una presenza erosiva inizialmente non dichiarata e pure continuamente sottesa ed agente: Evelyne, come avrebbe detto Sartre, è il necrologio di se stessa. Evelyne sembra, già dalla prima apparizione, una morta in vita, (questo fantasma?), una statua di cera messa in esposizione sul palcoscenico. Non a caso le sue prime parole, rivolte a Henry, l’amico chansonnier, sono: “Mi sento mancare”.

edwige feuillère in tutto finisce all'albaMa lo spettacolo della vita deve comunque continuare. Evelyne è una presenza che deve riempire il quadro, farsi immagine, ma è pronta, anzi prossima, a farsi assenza. Evelyne distrugge le sue fotografie di entraîneuse esposte in una vetrina del locale: vorrebbe rompere lo specchio, rimuovere quel riflesso, quel doppio, negare la propria esistenza. Ritorna a ripetere l’errore di dieci anni prima, non dire la verità a Georges. È coazione a ripetere che rivela una pulsione di morte. Evelyne “si attende nella morte”. Quando torna da Parigi, dopo la gita con Georges, indossa un abito scuro che sembra un vestito a lutto. “Avrò il coraggio di fingere fino alla fine”, dice ad Armand, che ha scoperto la sua doppia vita. Evelyne entra nella morte per scoprire che si stava attendendo e che era quello il vero inizio. Nel finale Evelyne ha il passo di una sonnambula (siamo noi i fantasmi?), gli occhi sono disciolti, la città notturna è deserta. “Perdersi nella nebbia e scomparire… senza pensare a nulla”. Il treno che parte, il piano che si svuota, a isolare il profilo di Evelyne, a lungo raggelato in un’innaturale posa di saluto. Il vuoto di queste e di altre immagini rarefatte è un vuoto che erode e si allarga. È un aperto che si indica come destino, e nella cui notte ormai così vicina all’alba si nasconde la possibilità di una salvezza, al di fuori della ronde.

 

 

Titolo originale: Sans lendemain
Regia: Max Ophuls
Interpreti: Edwige Feuillère, Georges Rigaud, Daniel Lecourtois, Paul Azaïs, Michel François, Georges Lannes, Mady Berry
Distribuzione: Lab 80 Film
Durata: 82’
Origine: Francia 1939

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