Un altro me, di Claudio Casazza

La visione è per forza di cose parziale, precaria. L’esistenza del filtro è il vero e proprio presupposto produttivo del film di Casazza, ciò che ne determina le forme e le scelte di linguaggio

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Un altro me di Claudio Casazza, film d’apertura e poi premio del pubblico alla scorsa edizione del Festival dei Popoli di Firenze, è tutta una lotta alla ricerca del dispositivo. Carcere di Bollate, reclusi per reati sessuali. I loro volti non possono essere ripresi e, allora, Casazza è costretto a lavorare sul fuoricampo interno e la suggestione. Sfocature, dettagli che disegnano frammenti di corpi. È come se guardassimo attraverso le sbarre, lo spioncino di una porta di ferro. La visione è per forza di cose parziale, precaria. L’esistenza del filtro è il vero e proprio presupposto produttivo del film, ciò che ne determina le forme e le scelte di linguaggio. Del resto, neanche il colloquio diretto è possibile. Al suo posto c’è il dialogo costante dei detenuti con gli assistenti sociali, gli educatori e gli piscoterapeuti che provano a far emergere, prima ancora che le storie individuali, i caratteri, le emozioni, i modi di pensare, i punti di vista. Tutto quel mondo sotterraneo che è alla base del vissuto, della condanna, magari di un recupero (?).

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Ogni discorso, ovviamente, ruota intorno alla sessualità. Ma non c’è alcuna morbosità, nessuna fascinazione del male. C’è semmai il rischio di un punto di vista istituzionale, di fredda oggettività. Ma è tutto un parlare intorno che non sembra essere il centro, il magma vivo del film.
Casazza osserva, senza giudizio. Quel che conta di più, per lui, è la costruzione progressiva dello spazio carcerario, della sua asettica, impersonale geometria. Certo corre il pericolo di perdere l’umanità, il legame con l’altro, ciò che, in fondo, è uno dei segreti del documentario, quella realtà che sta nel rapporto tra chi guarda e chi è davanti all’obiettivo, tra l’intervento della pratica filmica e la vita.
Ma resta la capacità affascinante di trasformare tutti i vincoli presupposti, in qualche modo “interni” all’apparato produttivo del film, in una specie di discorso metacinematografico e in una riflessione sistematica sul limite, sull’impedimento, dalla reclusione alla repressione degli istinti sessuali.

Regia: Claudio Casazza
Origine: Italia, 2016
Distribuzione: Lab80
Durata: 83′

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