Un mondo fragile, di César Augusto Acevedo

Il mondo fragile è dipinto con una lucidità liturgica e straziante, toccando apici profondi e commoventi. Camera d’Or a Cannes

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Un lungo sentiero polveroso, i suoi margini soffocati dalle canne da zucchero, un uomo solo, Alfonso, con la sua valigia. Il piano sequenza che apre l’opera prima del giovane regista colombiano César Acevedo, vincitore della Camera d’Or a Cannes, ripulisce in un istante lo sguardo che si concentra sulla soglia. La mdp si muove lenta, non sovrasta ma accompagna i passi pesanti e continui del protagonista. Un’assenza durata diciassette anni, una vita che si riaffaccia sull’uscio di una casa in bilico tra il presente ed i ricordi. L’incertezza lascia il posto all’evidenza: tutto è cambiato. Il paesaggio della Valle del Cauca, i campesinos, la luce, la terra e la sua ombra. Richiamato per assistere la familia, Alfonso avanza dimesso affrontando il rancore della sua sposa, l’agonia del figlio malato, il sacrificio della nuora mai conosciuta e il suo dono al futuro, il piccolo nipote Manuel. Quel destino ignoto e palpabile dal quale era fuggito lo sta per travolgere come il camion sul sentiero, lasciando polvere al passaggio. Polvere e cenere che si uniscono in volo poggiandosi lievi e inarrestabili su ogni cosa. L’immanenza della vecchia sposa col suo albero da pioggia e la sua casa solida vive nel tempo della resistenza, che combatte contro l’impietoso “progresso” dei corteros abbandonati nei campi. Lo sfruttamento della terra e dell’uomo ripagano, tra i tumulti, col silenzio della morte.

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un mondo fragileIl mondo fragile dipinto da Acevedo con una lucidità liturgica e straziante lascia spazio alla potenza delle immagini che si autoimpone toccando apici profondi, commoventi. L’avvampare incessante degli incendi e la protezione dell’innocenza forzano il destino alla fuga. Andare e sopravvivere, restare e morire. I colori, le forme, i suoni vengono raccontati attraverso lo sguardo dei personaggi che non si perdono nell’affanno di ricercare un senso, quanto piuttosto a preservare ciò che ancora può averne. Il punto di vista del regista viaggia dunque allineato con quello dei suoi personaggi, mai totalizzante, restituendo immagini che parlano di se stesse, indivisibili, pure, senza esigenza d’interpretazione. “La durata di ogni inquadratura e il tempo della narrazione hanno molto a che vedere con quello che diceva Tarkovskij sul prendersi il tempo necessario, cioè porsi nei confronti del tempo in modo da poter sentire e vedere quello che si sta vivendo” racconta il regista, e la lezione del cineasta russo restituita nello spazio intimo della casa, dove è il non detto a parlare, e in tutto ciò che è al di fuori, permette a chi guarda attraverso lo schermo di vivere e sentire intimamente questo bisogno persistente.

 

 

Titolo originale: La tierra y la sombra

Regia: César Augusto Acevedo

Interpreti: Haimer Leal, Hilda Ruiz, Marleyda Soto, Edison Raigosa, José Felipe Cárdenas

Distribuzione: Satine Films

Durata: 97′

Origine: Colombia/Francia/Paesi Bassi 2015

 

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