Un sacchetto di biglie, di Christian Duguay

La storia di due ragazzi ebrei nella Francia occupata dai tedeschi che riescono a sopravvivere alle barbarie naziste ed a ricongiungersi con la famiglia. Da un romanzo già adattato da Doillon

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Quella di Christian Duguay è impresa ardua. Guardare con occhi da bambino la tragedia di una guerra. Francia. Seconda Guerra Mondiale. Occupazione Nazista. Due giovani fratelli ebrei sono costretti a separarsi dalla famiglia ed a lasciare Parigi, zona occupata e controllata militarmente dai tedeschi, per sfuggire alla persecuzione e raggiungere la zona libera, uno stato satellite della Germania, nel governo filofascista e collaborazionista di Vichy controllato direttamente dai francesi sotto la guida del maresciallo Petain. Il film è un adattamento dell’opera di Joseph Joffo, tratto da una storia vera, Un Sac De Billes, anno d’uscita 1973, libro dal quale già in passato era stato tratto un film diretto da Jacques Doillon.

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Un viaggio dunque, per sfuggire all’orrore, con l’onta giudea cucita addosso e l’obbligo della negazione di appartenenza per smarcarsi dalla maledizione scritta nel destino del popolo ebreo, medesimo destino toccato oggigiorno a migliaia di disperati in fuga dalla deflagrazione della follia umana e costretti ad un’autodeportazione senza alternative. Duguay decide per una messa in scena edulcorata negli occhi innocenti dei bambini in un cammino di purezza tra le macerie della condizione umana, una visione ottimistica in scia con il precedente Belle e Sebastien, nella direzione di un universo in formazione in grado di fornire ancora risposte accettabili.

Niente riesce a cancellare l’impressione del lieto fine nascosto dietro l’angolo ad aspettare di entrare, un’alfabetizzazione al mondo compiuta tra mille difficoltà da veri e propri supereroi senza il minimo graffio, senza neanche dover ricorrere ad un surplus di energia in stile videogame vista l’assenza traumatica favorita da musiche da romanzo d’appendice. Il confronto con il film di Doillon vede un certo accomodamento ai tempi, un’innegabile marcia indietro nell’affrontare un discorso sull’amore, con un respiro di libertà tematica paradossalmente maggiore in passato, inserito in una più ampia revisione storica soprattutto nel descrivere il rapporto di forza degli occupanti con la chiesa cattolica. E se il cammino cronologico dei fatti è lo stesso, stessa cosa non si può dire per gli scenari, un accomodamento privo di fronzoli nel primo adattamento, uno semplice stare al mondo in un ambiente sostanzialmente neutro o finanche ostile, contro una dirompente percezione della natura grazie a straordinarie riprese paesaggistiche che lasciano fosse anche in maniera involontaria trasparire una certa benevolenza.

Come se questa migrazione di un popolo, scacciato da ogni dove, sulle gambe dei due ragazzini, riesca finalmente a riscattarsi dalla condanna di un perpetuo inadattamento, dallo smarrire inadeguato ordinato dal giudizio divino a punizione di peccati capitali, ad uno scambio simbiotico con un terreno finalmente ideale se letto con occhi innocenti, lasciando al tempo la corruzione del vizio che inficia la vista.

MV5BMzVjZGJlNGQtNTRlYS00MzJiLTkzYzQtNjc1NmMyYzk5YTk4XkEyXkFqcGdeQXVyNjIyMzgyNjM@._V1___1515761708_91.253.206.126A svantaggio di un discorso sulla detenzione, sulla caccia alla vittima designata all’ebreo colpevole di deicidio e responsabile delle disgrazie di altri popoli, che ne esce parecchio sminuito. Un’eventuale giustificazione sarebbe una logica ignoranza dell’Olocausto collegata ad una visione immatura figlia com’è di un’età giocosa che alle storture dense di paura del reale oppongono le barriere cementificate dell’ingenuo divenire. Anche se poi invece dalle prove attoriali dei ragazzi, tanto calate nel professionismo da ridare sullo schermo un concentrato di determinazione forse adatta maggiormente ad un adulto, lasciano piuttosto perplessi per la consapevole complessità della situazione.

Le biglie di Duguay pesano il valore della vita umana quantificandolo, svilendo l’incommensurabile, sporcandolo di polvere dopo la caduta, quelle di Steven Soderbergh in King of the Hill (Piccolo, grande Aaron), tra le mani di un altro bimbo alla deriva che lotta per la sopravvivenza durante la Grande Depressione, con la madre malata ed il padre immigrato in giro per lavoro, sono strumento di acquisizione di consapevolezza dietro gesti di spavalderia utili ad infondere coraggio. Un gioco quasi scomparso che nella sua semplicità poteva racchiudere il significato di un’esistenza.

Titolo originale: Un sac de billes
Regia: Christian Duguay
Interpreti : Dorian Le Clech, Batyste Fleurial, Patrick Bruel
Distribuzione: Notorius Pictures
Durata: 110′
Origine: Francia/Canada/Repubblica Ceca, 2017

 

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