Una festa esagerata, di Vincenzo Salemme

Sempre cercando quella Napoli che “non c’è più”, la proposta del regista e attore napoletano si muove tra la commedia grottesca, la nostalgia di una realtà scomparsa e il confronto tra morte e vita

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Di cosa parliamo quando parliamo di Napoli? Sembra che nel cinema italiano la nostalgia per una Napoli che “non c’è più” sia diventata un genere cinematografico, una dimensione che ha la sua propria sostanza, forma e corpo, trovando anche una mobilità nel paradosso tra essere e voler essere. Uno spazio dove convive il ritratto del presente – o almeno il frammento che si sceglie di mostrare – con il riflesso di un passato sfumato, ormai già sfuggito; l’omaggio a un luogo felice con i lamenti su un posto sparito; la Napoli organica, reale, che vive, si adatta, si muove, in confronto all’idea di se stessa, alla Napoli astratta, quella sospesa nel terreno del “c’era una volta“. Essendo anche lui un “corpo napoletano”, Vincenzo Salemme si ritrae in questa dimensione sia come attore – in film come Caccia al tesoro di Carlo Vanzina –  oppure come regista e protagonista della sua storia.

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In Una festa esagerata Salemme delinea questa intenzione, utilizzando lo spazio cinematografico e la cornice legittimata della commedia come una dichiarazione d’amore alla sua idea di Napoli, quella “isola felice” che per lui sembra essere affondata per sempre nel mare Tirreno. Per farlo, porta la sua omonima pièce teatrale al cinema, scegliendo come palcoscenico un palazzo tra le colline napoletane, dove si apprezza in modo panoramico la bellezza e l’apparente armonia del capoluogo campano, con un certo senso di distacco, come una composizione impressionista che si vede meglio da lontano. Lì si svolge la storia dei Parascandolo – l’imprenditore Gennaro (Salemme) e la moglie Teresa (Tosca D’Aquino) – che nel giorno del diciottesimo compleanno della loro figlia decidono di fare una festa alla grande sul terrazzo. Una festa volutamente esagerata, che include catering di lusso, palloncini dorati, 13 chili d’olive, un finto maggiordomo indiano, un prete (Giovanni Cacioppo), l’assessore Cardellino (Francesco Paolantoni) e pure lo stesso James Senese al sassofono. Il casino dei preparativi – e l’incapacità di Gennaro di accontentare le pretese di sua moglie, sempre accanto al suo fedele Lelo il secondino (Massimiliano Gallo) – non saranno affatto i problemi più grandi: proprio in quel giorno muore all’improvviso il vicino del piano di sotto, l’anziano signore Scamardella (Nando Paone), lasciando da sola una figlia pazza e pericolosa (Iaia Forte). Allora, la vicenda del festeggiamento diventa un assunto morale: si può tenere una festa esagerata, avendo un morto fresco sotto i piedi?

Se rimaniamo nella intenzione primaria di un film come La festa esagerata, cioè mettere in scena una commedia ch

e segua tutte le regole del genere, si potrebbe dire che la proposta di Salemme funzioni, riuscendo a scatenare le risate e pure a sorprendere ogni tanto, anche muovendosi proprio in un oceano di luoghi comuni e battute già provate, dove le risate spesso si possono anticipare e dove c’è troppa consapevolezza di dover far ridere. Se si prende invece come un atto di nostalgia, un altro omaggio alla Napoli perduta, dove “i condomini erano come famiglie” e “tutti si accorgevano della presenza dell’altro”, non risulta così vincitore; Salemme rimane nella superficie delle frase evocative, dette così al caso, ogni tanto, ma senza nessun filo trasversale o un percorso che permetta d’approfondire di più sul perché di questa testarda malinconia.

Ma il cinema di Salemme, aldilà dell’evidente e in questo caso come un atto di fede, può essere preso anche come una proposta esagerata, più vicina alla commedia grottesca americana, dove la scintilla proviene proprio delle sorgenti sotterranee, implicite, e soprattutto dalla capacità di ridere della propria sfortuna, di ciò che si è perso oppure che non si è mai avuto: da quella Napoli dove non si può più fare una festa esagerata, perché non ci sono abbastanza motivi per festeggiare. Da Gennaro, oppure Vincenzo Salemme, che nel mezzo di un ambiente superficiale e banale prova a farsi sentire, capire, anche se nessuno lo sta ascoltando. Dal confrontare la vita e la morte come riflesso una dell’altra. Da un’idea di Napoli che è scaduta, forse morta – oppure soltanto un miraggio – che anche se giace al piano di sotto, rende difficile la possibilità di continuare a chi rimane in superficie.

Regia: Vincenzo Salemme
Interpreti: Vincenzo Salemme, Massimiliano Gallo, Tosca D’Aquino, Iaia Forte, Nando Paone, Francesco Paolantoni
Distribuzione: Medusa Film
Durata: 90′
Origine: Italia, 2018

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