(unknown pleasures) Afternoon, di Tsai Ming-liang

Tsai Ming-liang e Lee Kang-sheng. Il cinema è stato solo un tramite che ha permesso ai due di incontrarsi. Ciò che commuove è allora la consapevolezza di essere parte di questa relazione.

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[in emptiness there is no form,
no sensation, perception, volition and consciousness,
no eye, ear, nose, tongue, body or mind,
no form, no sound, no smell, no taste, no touch, no objects of mind,
no realm of eyes]

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Nell’ultimo capitolo della serie Walker, No No Sleep, si era arrivati a un ulteriore irrigidimento del flusso temporale, tanto che la camminata, da lenta, si fa immobile, e per la prima volta Lee rimane fermo per gran parte della sua durata In Na ri xiawu si raggiunge la stasi più completa, un grado zero del movimento. Eppure, la sperimentazione sulla velocità si gioca direttamente sul parlato, sulla prolissità di Tsai che si scontra come onde irrequiete sullo scoglio silenzioso che è Lee, le cui parole fuoriescono lente, quasi avviluppate intorno alla lingua, restie a staccarsene.
In vent’anni la casa è rimasta sempre la stessa, o quasi. La casa dove l’hai visto crescere, dove hai visto i genitori morire. Riconosci i muri, i letti, i tavoli, tutto ciò in qualche modo ti appartiene. L’acqua ha continuato a sgorgare per anni, a inondare il pavimento, a rigare le pareti. Arrivati a Stray Dogs, il film che più si avvicina al sentimento di morte, le pareti sono ormai marce, gonfie di lacrime, deformi al punto da piegarsi verso i suoi abitanti. Per questo piccolo evento, che forse nemmeno arriva a essere un film, né desidera esserlo, le pareti sono nude, la stanza sventrata e spoglia, non è rimasto davvero più niente. Eppure, è sempre la stessa casa, in qualche modo. Seduti su quelle sedie, davanti alla camera che mai si muove, ci sono quei vent’anni trascorsi insieme, senza neanche sapere bene perché. Le lacrime arrivano quasi subito, con la morte addosso, la sensazione di non esser mai appartenuto a nessun luogo, a nessuna casa. Il cinema è allora un modo per combattere questa mancanza, un luogo dove ritrovarsi. Ecco il perseverare della casa che ritorna, ma sempre più tumefatta e irriconoscibile. Ma è una trasformazione necessaria, perché è Lee Kang-sheng, il suo viso, il suo corpo, i suoi movimenti, il suo silenzio, è lui a incarnare la casa di Tsai, è lui il motivo per cui il suo cinema esiste. Esisti, e non esisti allo stesso tempo, dice Tsai a Lee. Davanti o dietro la macchina da presa non vi è distinzione. Il vaso è vacuo, come l’inquadratura, come Lee. Una manifestazione della non esistenza instrinseca di tutti i fenomeni. La vacuità del vaso è il vaso stesso.
[la forma non è che vuoto, il vuoto non è che forma]

15I nostri film sono rovine. Votati alla distruzione, destinati a sparire. Ma l’impermanenza non riguarda solo il cinema: anche la nostra relazione è destinata a finire, è solo un qualcosa di temporaneo. L’assoluta trasparenza con cui Tsai e Lee si offrono alla camera rende quasi comprensibile il loro disinteresse verso il cinema in quanto tale. Il cinema è stato solo un mezzo, un tramite che ha permesso ai due di incontrarsi e di sostenersi. Ciò che commuove è allora la consapevolezza di essere comunque parte, anche solo come spettatori, di questa relazione, che in Na ri xiawu arde e si consuma senza bisogno di eccessi, semplice e devastante come solo poche cose possono essere. Forse non è amore, nemmeno semplice amicizia, sembra davvero non ci sia una definizione adatta a descrivere ciò che lega i due. Ma importa? Più si ascolta il loro scambio di ricordi, domande e risate, più è chiaro come, in fondo, fosse già tutto nelle immagini del loro cinema. Ma proprio per questo disinteresse il cinema di Tsai è uno dei più fondamentali, profondi e incomprensibili, perché fatto di una materia implasmabile da mani altrui. Un uomo solo contro il deserto.
Tutto è immobile, i due si alzano dai loro posti, escono fuori dall’inquadratura, lasciandola vuota, a riprendere la stanza spoglia. Ma per tutto il film, dai due squarci sulle pareti entra il sole a illuminare i loro volti, e l’immensa vegetazione spinta dai sospiri del vento ne ha accarezzato gli angoli. Ecco, aldilà del cinema, c’è ancora la vita. Questo film è nato per caso, è sbocciato come un fiore, ha detto Tsai a fine proiezione. Ci saranno altri passi, sempre più lenti, su una strada diretta verso l’ignoto. Ma dietro di essi, una scia di fiori.

[Gone, gone, everyone gone
everyone completely gone to the Other Shore]

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