(unknown pleasures) As the Gods Will, di Miike Takashi

Miike Takashi vince sempre, probabilmente ha già vinto da tempo. Pur di vincere è solito barare, giocare magnificamente sporco, truccare le carte e cambiare le regole nel bel mezzo della partita

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Miike Takashi vince sempre, probabilmente ha già vinto da tempo. Uno dei motivi è che, pur di vincere, questo cineasta è solito barare, giocare magnificamente sporco, truccare le carte e cambiare le regole nel bel mezzo della partita (gli dei in questo suo film si comportano in maniera sleale a ripetizione, mentendo e fingendosi bonari quando in realtà sono solo assetati di sangue). L’altro motivo, corollario del primo, è che per un brandello di cinema, un’immagine, un colpo di scena e una testa che esplode, Miike Takashi farebbe – e fa , per nostra fortuna – di tutto, qualunque cosa per un altro film, un’altra beffa, un altro tentativo di tenere in scacco dio, che è sempre la prova finale di ogni gioco: e allora, puntualmente, l’ha vinta lui. E sono per queste ragioni proprio i film apparentemente innocui, gli scherzi come questo As the Gods will i momenti in cui il cinema di Miike Takashi si fa più paradossalmente necessario e militante, quasi irrinunciabile.

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Tratto da una fortunata serie a fumetti, As the Gods will è alla fine dei conti un oggetto anche meno strano di altre sortite del regista, all’apparenza diviso tra una risposta sghignazzante e ridanciana alle saghe young adult di Hollywood (che tanto, come sappiamo, devono ad alcuni cult nipponici come Battle Royale, di cui nel processo di traduzione e diffusione internazionale sono rimasti con ogni probabilità soltanto i segni apertamente folkoristici, i souvenir da esportazione da arredamento di ristorante per turisti come il Daruma o il gattone Maneki Neko… lucidissimo Miike Takashi!), e una superficiale riflessione morale sulla violenza che circonda il nostro mondo di media vampireschi, videogames sanguinari, reportage di guerra espliciti a tutte le ore in tv, schermi diffusi sulle facciate dei palazzi in piazza, come un reality esondato per le strade dagli schermi domestici.

Miike Takashi sa bene che nel microcosmo scolastico tutto viene riproposto in scala ridotta ma esponenzialmente ancora più carica di violenza repressa e pronta a esplodere (come dimostrano, per restare solo alla sua produzione recente, due film accostabili a questo come Ai to Makoto e Aku no kyoten), e si muove in un terreno a lui usuale, tra l’esagerazione cartoonesca senza freni e le traiettorie delle storie collegiali in pura tradizione nipponica.
Difficile, come sempre, capire dove l’autore stia giocando, e dove inizi a fare sul serio (o viceversa): in As the Gods will la metafora è ulteriormente dichiarata e resa esplicita dalla struttura ludica del film stesso, con sfide, regolamenti e giudici supremi che rimandano ovviamente alla natura intrinseca dell’oggetto cinematografico e del suo demiurgo.

Dovesse bastare una sequenza per dire tutto, l’incipit in medias res è una vertigine altissima: perché ci troviamo in questa situazione assurda?, si chiedono i personaggi davanti all’eventualità di una morte prossima e truculenta. Prima usciamone vivi, e poi capiremo come e perché, risponde lo svelto protagonista Shun. Un invito del regista ad affrontare la deflagrazione del suo cinema nel puro e preciso attimo in cui fa detonare lo schermo, lì e solo in quella dimensione: con Miike Takashi, il resto dei nostri trucchetti da critici non serve a nulla. Ha vinto lui, ancora una volta.

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