(unknown pleasures) Ye che (Night Train), di Diao Yinan

night train

Il regista cinese realizza un bel ritratto sulla solitudine dove emergono anche quelle forme di un cinema dell'alienazione. L'opera è caratterizzata spesso da uno stile trattenuto ma anche vibrante nel materializzare la traiettoria di un nomadismo individuale. Un'altra positiva sorpresa di questa sezione. Dal regista cinese vincitore della 64° Berlinale con Black Coat, Thin Ice.

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Si svolge frequentemente nelle zone di penombra Ye che, secondo lungometraggio del cineasta cinese Yinan Diao dopo Zhifu (Uniform) del 2003, che poi nel 2014 vincerà alla Berlinale con Black Coat, Thin Ice. Le figure sono quasi nascoste, avvolte dallo spazio di una città industriale. Wu Hongyan, una donna che ha poco più di 30 anni, lavora in un tribunale. Il suo difficile lavoro l'ha messa spesso a contatto con donne condannate prevalentemente a causa di delitti passionali. Tutti i fine settimana prende il treno in direzione di una città lontana per partecipare a una serata danzante organizzata da un'agenzia matrimoniale.

Yinan Diao realizza un bel ritratto sulla solitudine dove emergono anche quelle forme di un cinema dell'alienazione. Oltre a quegli spazi vuoti, come la città, la fabbrica o l'immagine del battello sul fiume, il cineasta cinese si sofferma, attraverso piani fissi, ad estremizzare un isolamento crescente che emerge anche nella scena della pista da ballo che si svuota progressivamente.

In Ye che però Yinan Diao mostra questo continuo nomadismo, sospeso tra la monotona vita professionale (la ripetizione del modo con cui la protagonista accompagna con la prigioniera) e le provvisorie accensioni sentimentali attrverso una continua ricerca dell'altro, un bisogno di contatto, anche occasionale. Nelle traiettorie lente impercettibili, nei movimenti appena accennati, la pellicola accenna anche a provvisorie aperture, come il rapporto tra la protagonista e la sua vicina di casa, una spogliarellista che lavora in un locale notturno. Però Ye che riesce anche a mantenersi in equilibrio tra più direzioni dove sono presenti frammenti di un cinema giudiziario (la scena del processo alla ragazza che ha commesso l'omicidio) e una sottile ambiguità, presente soprattutto nella parte finale in cui non si esplicita mai la direzione che prende il rapporto tra la donna e Li Jun, un uomo misterioso da cui la protagonista è sedotta ma che è legato proprio alla detenuta condannata a morte. C'è un inseguimento dell'uomo a Wu Hongyan, visto in soggettiva che appare come il punto di vista del potenziale omicida. Il coltello con cui voleva ucciderla poi viene momentaneamente posato. Il finale si chiude con lo schermo nero. Non da risposte, non fornisce soluzioni, in linea con uno stile trattenuto e vibrante.

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