"Un'ora sola ti vorrei", di Alina Marazzi

Già dal titolo ci sono i segni di un film di un desiderio. Un desiderio im/possibile ma riproponibile attraverso le immagini d'archivio, quindi attraverso il cinema in un documentario che brucia di passione e di dolore e dove la cineasta si è messa totalmente in gioco.

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Ci sono frammenti dell'Italia del Novecento dentro Un'ora sola ti vorrei, presentato a Locarno nel 2002 e che esce soltanto adesso nelle sale italiane. Frammenti non della Storia del paese, ma di una storia privata, lacerante, ricostruita attraverso filmini familiari in super8 con immagini d'archivio che vanno dal 1926 al 1972. Alina Marazzi riprende alcune immagini d'archivio girate dal nonno, l'editore milanese Ulrico Hoepli e da lì ricostruisce la storia della propria famiglia, a partire dai nonni, poi dalla madre e il fratello, poi dall'incontro della madre con il marito e prima della nascita della cineasta con gli altri due fratelli.

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Non è un documentario biografico Un'ora sola ti vorrei – il cui titolo riprende anche una celebre canzone di Giorgia – ma è invece un'opera che brucia di passione e di dolore, un film in cui la cineasta si è messa totalmente in gioco. Al centro la figura della madre, Luisa, detta Liseli, morta suicida a 33 anni quando Alina aveva 7 anni, una figura che perde progressivamente solarità anche dal montaggio d'archivio. Le immagini dei feste, dei matrimoni, delle nascite, della vacanze, vengono progressivamente sostituiti da diari, da lettere in cui la Marazzi filma in maniera pudica, partecipe e sorprendentemente efficace un disagio intimoforme di una malattia mentale: la 'corrispondenza amorosa' con il marito e i figli che contrasta con le fredde cartelle con le diagnosi dei medici, danno davvero forma alla parola con un'intensità autentica che ricorda un'altra malattia privata, quella del terzo eposodio di Caro diario di Moretti. Un'ora sola ti vorrei, oltre la canzone, già esprime dal titolo i segni di un film di un desiderio. Un desiderio im/possibile ma riproponibile attraverso le immagini d'archivio, quindi attraverso il cinema: quello della cineasta di poter stare accanto alla madre per circa un'ora, tempo che coincide quasi con la durata di questo documentario. E ciò avviene nel modo in cui Alina si riappropria della voce della donna da quando lei aveva 12 anni fino alla sua morte e attraverso cui le permette di rivivere non come un fantasma ma invece con una fisicità impressionante.


 


Regia: Alina Marazzi


Distribuzione: Mikado


Durata: 55'

Durata: Italia, 2002

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