Vedete, sono uno di voi, di Ermanno Olmi

Non è un testamento, ma un film coniugato al presente, che spiega un punto di vista sulle cose, sul mondo. E che parla al futuro, a quell’urgenza di vita che ancora resta. Con un furore “dolce”

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La bellezza, senza dubbio, non fa le rivoluzioni.

Ma viene il giorno in cui le rivoluzioni hanno bisogno di lei.

La sua norma, che nell’atto stesso di contestare il reale gli conferisce unità, è anche quella della rivolta.

 

Quando Camus, ne L’uomo in rivolta, si chiedeva quanto fossero ancora conciliabili la libertà e la giustizia, era costretto a registrare l’impasse della Storia. O meglio, il fallimento di tutte le tensioni espresse dalle forme di pensiero (e di pratica politica) antagoniste che avevano deciso di realizzare nella Storia, nel presente o nel futuro di questo mondo, la migliore delle vite possibili. Rinunciando a ogni ideale che provenisse da un altro tempo e un’altra dimensione, sopra, sotto prima o oltre, a ogni fede che parlasse di paradisi sconosciuti, inconoscibili. Ma quello della Storia da portare a termine, da compiere nella pienezza della sua vocazione, non era che un altro mito su cui costruire prigioni, patiboli, campi di concentramento, universi dominati da polizia e panopticon. Camus parlava della “misura” del pensiero meridiano come dell’unica via, forse. “Tutti portiamo in noi il nostro ergastolo, i nostri delitti e le nostre devastazioni. Ma il nostro compito non è quello di scatenarli attraverso il mondo; sta nel combatterli in noi e negli altri”.

Ma oggi il problema è ancora qui, tutt’intero. Proprio oggi che sembra trionfare un’unica misura, in cui tutto deve essere a vista, perfettamente inquadrato nelle regole ferree dell’economia che si è fatta spettacolo generalizzato, proprio oggi che la libertà non esiste se non come proiezione social, in nome di una sicurezza che protegga le nostre vite, ma non le nostre dignità, oggi che a tutti è applicata un’unica giustizia fondata sul mito radiografico della trasparenza.

È vero che oggi più che mai sembra che l’ira non abbia punti di raccolta, sbocchi o, quanto meno, possibilità di espressione. Forse, più precisamente, all’ira è concesso solo di essere cieca. Furia cieca. E quindi armata contro ciò che non vede. Sì, proprio oggi, c’è bisogno di scovare i nemici nelle linee d’ombra al di là dei muri, nelle zone di confine, oltre le terre rischiarate dalla grazia di un dio qualsiasi. Nel presupposto, implicito, che queste terre, con il loro sistema e le loro norme, siano il migliore dei mondi possibili. Ma per questa via, l’ira diventa paura. Invece che essere un principio di rivolta, diventa uno strumento di difesa e conservazione. Mentre dappertutto ancora proliferano le tre pestilenze, solitudine, corruzione e violenza, di cui si parla In Vedete, sono uno di voi.

 

CINEMA: 'Vedete sono uno di voi' a cura di Ermanno OlmiChe sia la Milano degli anni ’80 e ’90, quella del terrorismo che colpiva all’impazzata e delle tangenti che inquinavano l’intera società italiana, o che sia un più generale stato delle cose, la sostanza non cambia. E che sia il pensiero del Cardinal Martini o che sia la voce di Ermanno Olmi è una distinzione irrilevante. Anzi, il fatto che avvenga questa sovrapposizione, che questo parlare in prima persona non sia immediatamente riferibile, già svela in parte il senso del documentario. Che è innanzitutto una rinuncia all’individualismo autoreferenziale, a quell’io dico dell’autore che sale in cattedra, per accordarsi invece al pensiero dell’altro, in un più profondo spirito di dialogo e di comunione. Ma è, allo stesso tempo, una specie di film oracolare che dà voce agli dei e nel senso del passato scopre la sua capacità di preveggenza. Olmi non ripercorre semplicemente la vita di Carlo Maria Martini, con la collaborazione di Marco Garzonio, biografo del cardinale. Ma lo rende istanza narrante, mettendo immediatamente al centro la soggettività dell’uomo, con i suoi percorsi di vita e di fede più o meno tormentati, più o meno difficili. È una vita straordinaria, è vero: per pensiero, esperienza spirituale e azione. Ma, se davvero ognuno è eccezionale, come diceva Truffaut, questa vita non può distinguersi dal più complesso respiro del mondo.

C’è la Storia: il fascismo, la guerra calda e quella fredda, gli anni di piombo e il crollo dei muri, tangentopoli e la nuova economia del capitale che non ha bisogno di un retorica anti-industriale che intralci la marcia verso lo sviluppo e il progresso. Ma la Storia non è un succedersi di eventi, di direzioni imposte dall’alto. È un movimento più generale, forse caotico, schizofrenico, ma compiuto da ognuno, da chi, con il proprio gesto delle mani (e compaiono frammenti del film di Clerici), manda avanti le opere e i giorni. La Storia non ha un termine. Né un fine, come intuiva Camus. Finirà nell’istante in cui scompariremo tutti, perché non ha senso senza gli uomini che la costruiscono e la narrano. O magari continuerà altrove, su altri pianeti, in altre forme di vita, secondo altre regole di lotta e di comunione. Intanto si scompone nelle singole storie e si ricompone a poco a poco nei cento, mille, racconti, in cui il reale e la favola sembrano confondersi, esattamente come si confondono il vero e il falso, il torto e la ragione. La gente “è stanca di vivere”. Perché si assuefatta all’inganno della Storia, della sua inviolabilità, si è rassegnata a un reale in cui non riesce a trovare davvero posto. E non sembrano esserci alternative, altre ipotesi, forze antagoniste che indichino nuove strade, oltre il rischio degli stereotipi riconoscibili, che riportano al già dato, al già visto, alla normalità delle formule. “Se mi occupo dei poveri, sono un sant’uomo. Ma se spiego perché sono poveri, sono un comunista”.

 

vedete sono uno di voi1Ecco, ma tutto quell’archivio ripreso e rimontato in nuove direzioni di senso, in guerre combattute da Totò con la scimitarra, è proprio il segno di questa impossibilità della Storia di farsi maiuscola senza il minuscolo, senza il frammento, di congelarsi nel freddo monumento, nella targa di marmo, senza dar seguito alla vibrazione persistente della singola particella. E Olmi usa il suo stesso cinema come archivio, non per celebrarne la gloria passata, ma per scoprirne il fuoco ancora vivo, tutta quella sua capacità di creare ancora connessioni, linee di comunicazione e di espressione. Vedete, sono uno di voi non è un testamento, come credono alcuni. È un film coniugato al presente, che spiega, senza aver bisogno di urlare, un punto di vista sulle cose, sul mondo. E che si chiede, come una domanda agghiacciante, a che punto sia la notte, fede o non fede, Chiesa o non Chiesa, con o senza Dio… Ma non è una profezia di sventura, come piace ai freddi intellettuali della morte. Qui si parla di rivolta, di quell’urgenza di vita che ancora resta. Con un furore “dolce”. Come immagino che siano dolci i suoi frutti.

 

Regia: Ermanno Olmi

Distribuzione: Istituto Luce Cinecittà

Durata: 80’

Origine: Italia, 2017

 

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