VENEZIA 61 – "Shijie", di Jia Zhang-ke (Concorso)

Si avverte in quest'opera già "ruggente" come la gabbia pneumatica, rifuggita ma presente nel processo creativo, abbia ispirato una dimensione di "fuga ferma" da strutture moderne. Un "mondo" in scala in cui transitano terminali di emotività inespresse.

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E' il primo film di Zhang-Ke ad ottenere un'autorizzazione ufficiale del governo cinese per la libera distribuzione, dopo che i precedenti Xiao Wu (Pickpocket), Platform e Unknown pleasures videro la circolazione post-censoria in dvd piratati e la proiezione in comitati ristretti come unica possibilità di fruizione interna. Si avverte in quest'opera già "ruggente" come la gabbia pneumatica, rifuggita ma presente nel processo creativo, abbia ispirato una dimensione di "fuga ferma" da strutture moderne. L'ambientazione metropolitana, voluta dall'autore per descrivere la veloce urbanizzazione pechinese con i suoi scompensi economici e sociali, è ideale in questo senso. La follia implodente, l'isolamento emozionale, la ricerca di una dimensione globale che un passato ipertrofico fatica a mettere in moto ma non ad accettare. E' il miraggio spesso equivocato di tanto, troppo cinema degli ultimi vent'anni: la fotosintesi di un rapporto simultaneo e biunivoco tra virtuale e reale, tecnologia ed umanità, percezione e annichilimento, superficie e abisso. Un "bandolo di meno" allora, ma di una tensione interna così im/prevista da impedire le cornici oniriche o quotidiane. E' tutto lì, ma non si muove né noi riusciamo ad intervenire in modo palpabile: un "mondo" in scala in cui transitano le varie figure umane, terminali di emotività inespresse. Realtà e sogno possono scambiarsi in ogni sequenza (non a caso si ricorre ironicamente ai quadri introduttivi con le intestazioni dei luoghi). Pur girato in digitale, pur facendo largo uso di sequenze animate (legate agli sms, vie di fuga infantili di Tao), pur ricorrendo a forti simbolismi Shijie vive di un raro equilibrio astratto e materico insieme, quasi un tao geopolitico della modernità "cardiaca" che con fili invisibili ci lega al resto del mondo s/conosciuto, lontano e vicino, visibile e inafferrabile. Fondamentale in tale groviglio di reti l'ambientazione nel parco d'attrazioni "Il mondo", area scenica in miniatura dove sono allestite le riproduzioni dei 106 luoghi e monumenti più importanti del mondo: dalle Piramidi alla Torre Eiffel, dalla Casa Bianca al monte Fuji, dalla Torre di Pisa alla Piazza Rossa. Sur(plus)realtà dove l'energia ludica, vista come unica risorsa espansiva della Cina, crea l'interazione uguale e contraria tra la falsità dei paesaggi (persino degli elementi atmosferici) e l'umanità post-isolamento. La giovane ballerina Tao (il musical è una delle chiavi giocate per configurare l'inesprimibile) ed il suo ragazzo Taisheng, custode del parco, si sono trasferiti a Pechino dalle province del nord (tòpos della trilogia precedente) ed affrontano ossessivamente il bivio al quale è giunto il loro rapporto: Taisheng è attratto da Qun, disegnatrice di moda incontrata in un viaggio di ritorno a casa. Gli amici ballerini di Tao vivono altre avventure amorose. Xiaowei si interroga sul futuro con Niu. L'ossessione insistita sulla paura del tradimento è un altro link occidentale, come il tema della comunicazione spaziale dei treni, degli aerei, dei voli. Compressione forzosa del desiderio necessario. Alla fine l'immobilità magica del microcosmo magico registra un cambiamento millimetrico: fedeltà, gioia, rotture possibili. "Diventeremo dei fantasmi a forza di star qui tutto il giorno".

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