VENEZIA 62 – "Everlasting Regret", di Stanley Kwan (Concorso)

L'altra metà del cielo e della storia. "Vers le Sud" di Cantet ed "Everlasting Regret" sono lontani nella forma ma fratelli (o sorelle) nel forgiare quel mondo femminile, il passato nel presente già futuro attraverso gli occhi apparentemente periferici che combinano intimo e sociale, utopie realizzabili e risvegli traumatici.

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L'altra metà del cielo e della storia. I bellissimi Vers le Sud di Cantet ed Everlasting Regret, sono lontani nella forma ma fratelli (o sorelle) nel forgiare quel mondo femminile, il passato nel presente già futuro attraverso gli occhi apparentemente periferici che combinano intimo e sociale, utopie realizzabili e risvegli traumatici. Cantet "documenta" la deriva dei sogni e dei paradisi immaginari, Stanley Kwan (che pubblicamente ha dichiarato la sua omosessualità) condensa passato e presente con al centro una donna e ai lati vuoti di coscienza, spazi prima liberi e poi decadenti. Ritratti fagocitati dallo sfondo (il primo dalle spiagge e dalle rovine di Haiti, il secondo dagli sfarzi remoti e la claustrofobia contemporanea di Shanghai), meticci di un cinema apparentemente carnale e tragico, ma debordante di corpi schiacciati dal desiderio di evasione ma mai sopraffati dal potere manieristico dello stile. Il cinema di Stanley Kwan, mélo post-moderno, rievoca gli scenari di Wong Kar Wai (lo scenografo e montatore è lo stesso, William Chang) ma scorporando sovrastrutture ad effetto (mancano i ralenti e altre malizie estetizzanti), materializzando sobrietà e spietatezza, patetismo e geometrie, fino a scoprire il tracciato nascosto da Ozu a Fassbinder. Proprio sullo sfondo di Shanghai "storica", il regista di Hong Kong aveva materializzato già due dei suoi più compiuti melodrammi, Center Stage (1991), storia della diva del muto cinese Ruan Ling-yu, e Red Rose White Rose (1995), cinica rivisitazione del maschio cinese attraverso due donne speculari e complementari. Con Everlasting Regret il freddo di quella struttura auto-riflessiva dei precedenti lavori si scioglie e la passione per la vita ritorna a significare l'affrontare i cambiamenti senza arretrare e portarne il fardello lamentandosi. È la condizione umana in un ristretto spazio drammatico che limita l'azione e sconvolge i piani tra la l'eleganza del passato e la crudezza del presente. L'azione è bloccata, non sbavata, quei salti di continuità narrativa e sequenziale rende la visione incerta e confusa: far vedere di meno restituendo un'affestellarsi di percezioni non tutte decifrabili, perché un gesto saliente si perda e si confonda nella storia fatta di voragini temporali. Come l'eroina del film scoprirà sulla sua pelle, una città in perenne cambiamento non può permettersi di attendere chi rimane indietro. Si corre, cercando di rimanere al passo, sino a che la giovinezza e la lealtà lo consentono ma arriva, sempre, un giorno in cui è necessario mollare e farsi superare. Everlasting Regret racconta la Shanghai ai tempi che furono, è un'allegoria delle città moderne e di coloro che le abitano. Cinema sul cambiamento, nessuna nostalgia del passato ma, identificazione surrettizia sceneggiata per il futuro che diventa presente, il presente passato e il passato un eterno rimpianto. Come per Cantet i "turisti non finiscono mai", anche la città è destinata a durare più dell'esistenza di Qiyao, sbocciata insieme a Shanghai degli anni '30 e appassita da sola negli anni '80. Basato sull'acclamato romanzo di Wang Anyi (una delle più importanti scrittrici cinesi contemporanee) e prodotto dal popolare Jackie Chan, speriamo che questa epica, visionaria esplorazione storica e dell'esperienza personale, apra definitivamente spiragli di visibilità ad uno dei massimi autori (come non ricordare il meraviglioso Rouge del 1987) della seconda ondata della new wave hongkonghese, quella di metà anni ottanta, cui fanno parte lo stesso Wong Kar-wai e Peter Chan Hosun.

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