VENEZIA 63 – "La rieducazione", di Amanda Flor (Davide Alfonsi, Alessandro Fusto, Denis Malagnino, Daniele Guerrini) – Settimana della Critica

E' la rieducazione: di Marco il protagonista, dei sogni di gloria di un'intera generazione nata 'fuori dal mondo', ma è anche forse la rieducazione del cinema italiano, di quel cinema 'giovane' che ci sembra così lontano ed inutile. Quello dei quattro amici di Roma, costato 500 euro, realizzato in digitale in b/n, è un film da difendere.

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Da quanto il cinema italiano "dei trentenni" non tornava nei cantieri, tra i muratori, a confondersi e a sporcare l'obiettivo della mdp di intonaco bianco insieme ai giovani che non hanno trovato altro modo per campare se non spaccarsi la schiena tutto il giorno a costruire muri e trasportare travi, lavoratori in nero pagati una volta ogni tre mesi, se va tutto bene, dopo aver perseguitato il capomastro che continua a inventarsi improbabili scuse per non sganciare quei pochi, indispensabili euro? Da quanto la nostra generazione al cinema (non solo in Italia – l'agghiacciante spagnolo Azul Oscuro Casi Negro visto alle Giornate degli Autori) è invece quella di Fabio Volo e Stefano Accorsi, figli di papà borghesucci dall'impiego cool intraducibile dall'inglese, così rilassante da lasciar loro tanto di quel tempo libero per farsi venire crisi e pensieri sulla vita (Il posto dell'anima di Milani era sì ambientato in fabbrica, ma 1. è ormai di tre anni fa e 2. Orlando e Placido certo non rappresentano "i giovani che si affacciano sul mondo del lavoro")?  Abbiamo dovuto aspettare un film costato 500 euro ad un collettivo di ragazzi romani, Amanda Flor, realizzato in digitale e presentato al Festival di Venezia nell'unica copia esistente in beta video, primo tassello di un annunciato Ciclo dei Finti, girato in bianconero sgranato con la videocamerina incollata alle facce dei protagonisti, muratori professionisti e attori non, per ritrovare finalmente in Italia un film che ci riguardi davvero – perchè Marco è un ragazzo istruito, laureatosi col massimo dei voti, attivista e volontario dell'Azione Cattolica Giovani del suo quartiere di Roma, ma continuando a provare di vincere i concorsi non si diventa economicamente indipendenti, e il padre proprio non ce la fa più a sopportare sulle spalle i costi del mantenimento del figlio: il cantiere dell'amico Denis è l'unica soluzione – Marco deve smetterla di sognare il lavoro ben retribuito per cui ha studiato per anni, e deve iniziare a rimboccarsi le maniche, alzarsi la mattina presto per andare a trasportare sacchi di cemento sotto il sole, e arrangiarsi a vivere in una bicocca in campagna che il capomastro usa come rifugio per gli extracomunitari rumeni che ogni tanto finiscono a lavorare per lui. E' la rieducazione: di Marco (disposto anche ad invischiarsi in affarucci pericolosamente illegali per ritornare ad avere un po' di soldi in tasca), dei sogni di gloria di un'intera generazione nata 'fuori dal mondo', ma è anche forse la rieducazione del cinema italiano, di quel cinema 'giovane' che ci sembra così lontano ed inutile. Quello dei quattro amici di Roma è un film importante e da difendere anche al di là della questione 'autarchica', anti-major: seppur pieno di personaggi 'coatti', non trascende mai nella macchietta (e il mafiosetto napoletano 'alla Mario Merola' si rivela in realtà il tentativo di bluff ad opera del cugino smidollato di Gennarino, il muratore licenziato ad inizio del film) – e la sequenza d'apertura, con i muratori che invece di lavorare dormono, prendono il sole, si grattano la pancia o fumano erba negli angoli freschi del cantiere in costruzione, per poi all'improvviso mettersi a faticare alacremente dopo l'avviso "attenti, sta arrivando il principale!", è davvero meravigliosa. Nico in colonna sonora: Chelsea Girls, scritta con Lou Reed per l'omonimo film di Andy Warhol – quasi una dichiarazione d'estetica.

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