VENEZIA 68 – “Il silenzio di Pelesjan” di Pietro Marcello (Orizzonti)

il silenzio di pelesjan

Prodotto da Fuori Orario, questo progetto sembra accentuare soprattutto il fortissimo contrasto tra il leggendario cineasta armeno (inventore di un tipo di montaggio straordinario e imprendibile, volatile e poetico) e il giovane casertano che lo ritrae; tra un Maestro del silenzio in immagini e un brillante cineasta emergente con molta voglia (e capacità) di “dire” con tutti i mezzi possibili

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il silenzio di pelesjanLeggenda vivente del cinema (pur con pochissimi minuti all'attivo nella propria filmografia), inventore di un tipo di montaggio straordinario e imprendibile, volatile e poetico, l'armeno Artavazd Pelesjan viene ritratto da Pietro Marcello in un mediometraggio di una cinquantina di minuti che non sfigurerebbe affatto nella celebrata serie transalpina “Cinéastes de notre temps”.

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Prodotto da Fuori Orario, questo progetto sembra nascere soprattutto dal voler accentuare il fortissimo contrasto tra l'oggetto del ritratto e chi lo fa. Il giovane cineasta casertano è quasi l'opposto dell'anziano Maestro. Come Chris Marker (sua dichiarata ispirazione principale), Marcello spinge il montaggio al di là del linguaggio, per così dire, “per eccesso”, cioè sovrapponendo più strati significanti (la propria loquace e puntuale voce over, e un insieme di immagini combinate sempre nella direzione di una molto forte volontà di eloquenza) fino a toccare un livello che con il “dire” ha finalmente poco a che fare. Pelesjan invece si mantiene “al di qua” del linguaggio, mostra una muta, fascinosa, mobilissima latenza del senso, che nulla, nemmeno la più incontestabile delle evidenze, riesce a scuotere dall'essere puramente e beatamente solo in potenza piuttosto che in atto.
Ebbene, il primo ha l'intelligenza di prestarsi a un gioco che mette allo scoperto i propri limiti: mostra di voler forzare a tutti i costi la fotogenica durezza dei tratti di Pelesjan, le sue rughe, i suoi occhi disillusi, la sua maniera discreta di muoversi – ma solo per dover riconoscere di trovarsi davanti un'infrangibile opacità. Rispettata la condizione postagli dall'interlocutore (quella di poter non proferire nemmeno una parola), Marcello si sforza di far parlare le immagini, per esempio montando insieme la visita di Pelesjan sulla tomba dei suoi maestri (Klimov, Gerasimov…) con le immagini del parto del suo cortometraggio Vita – ma solo per trovarsi davanti agli occhi l'informe, le suggestioni senza nome della metropoli tutt'intorno, le anodine immagini di repertorio di un giovane Pelesjan alle prese con la commissione d'ingresso alla scuola di cinema…
In altre parole, il suo viaggio al cospetto del Maestro armeno diventa un'occasione per interrogarsi e interrogarci sulla strana connivenza che sembra esserci tra la Latenza con la “elle” maiuscola delle sublimi immagini di Pelesjan (che qui compongono una parte importante del montaggio) e la latenza con la minuscola dell'oceano di immagini che ci circondano: impagabili, in questo senso, la parentesi in cui Pelesjan, stravaccato sul divano, fa zapping col telecomando su immagini televisive di nessun conto.
Un sorprendente pianosequenza (quasi a voler far vivere Homo sapiens, film incompiuto di Pelesjan sull'arte nella storia dell'uomo) fonde insieme una carrellata su millenni di oggetti artistici da Lascaux in poi e una camera-car su varie luci sparse immerse nel buio della sera; il “priapismo retorico” di Marcello, ansioso di dire di tutto e di più, si affaccia meritoriamente sull'incertezza tra il silenzio “nobile” prodotto dall'arte e quello qualunque di qualsiasi cosa possa dirsi immagine.
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